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Horror Frames: The Pack e la conferma dell'horror francese

La campagna rurale come teatro di una vicenda minacciosa.
di Rudy Salvagnini

In foto Charlotte (Èmilie Dequenne) in una scena del film The Pack.
Émilie Dequenne (43 anni) 29 agosto 1981, Belœil (Belgio) - Vergine. Interpreta Charlotte nel film di Franck Richard The Pack.

martedì 19 aprile 2011 - News

L'horror francese si è dimostrato in questi ultimi anni tra i più vivaci e vitali, pur in assenza, a parte poche eccezioni, di una tradizione significativa alle spalle. È un po' quello che era successo al cinema italiano alla fine degli anni '50, quando, sull'onda del rinnovato interesse per il cinema dell'orrore con i trionfi della Hammer (ma è giusto ricordare che l'antesignano dell'ondata orrorifica italiana, I vampiri di Freda, era quantomeno coevo), le nostre case di produzione avevano cominciato a sfornare un horror dietro l'altro inventandosi uno stile e creando una vera e propria via italiana all'horror, derivativa per certi aspetti, ma sicuramente innovativa per altri.
Per il momento, l'ondata dell'horror francese non sembra affievolirsi e, tra le varie tematiche e ambientazioni affrontate, sembra affermarsi soprattutto quella dell'horror rurale, nel cui contesto i francesi hanno azzeccato diversi titoli interessanti (Calvaire e Sheitan su tutti). In fondo, anche il vecchio e glorioso Les raisins de la mort di Jean Rollin - maestro solitario dell'horror d'oltralpe recentemente scomparso - era un horror rurale. In questo ambito campestre, una recente uscita è The Pack (il titolo originale francese è La meute), una co-produzione franco-belga diretta da Franck Richard che riporta in primo piano la campagna francese, desolata e silente come non mai, quale teatro di una vicenda cupa e minacciosa.

La sinossi di The Pack
In viaggio in auto senza una particolare meta, la giovane Charlotte dà un passaggio a Max, un autostoppista. Si danno il cambio alla guida, per riposarsi, e, mentre è al volante, Max si ferma in una locanda, "La Spack", in mezzo al nulla. Mentre bevono un caffè, i due vengono aggrediti da un trio di buzzurri motociclisti dalle pessime intenzioni, ma sono salvati dall'intervento deciso della proprietaria del locale che, fucile alla mano, ha la grinta di Charles Bronson. Max va a rimettersi in sesto nella toilette, ma non torna più fuori. Passato un bel po' di tempo ai videogiochi, Charlotte comincia a preoccuparsi e cerca Max in bagno, ma non c'è. La proprietaria non è impressionata e chiude il locale per fine servizio cacciando fuori Charlotte. All'esterno, la ragazza spiega l'arcano all'ambiguo Chinaski, sedicente ex poliziotto, che ne prende nota e manifesta un vago interessamento. Ma Charlotte non intende mollare la presa e di notte entra di nascosto nel locale, rompendo un vetro: vuole vedere cosa c'è dietro una porta sbarrata nel bagno. Mentre osserva, la proprietaria le compare alle spalle e la tramortisce: quando Charlotte si sveglia, è prigioniera della donna, che ha un segreto oscuro e terribile.

La messa in scena e gli attori del film
Ancora una volta, la campagna - la natura civilizzata - è vista come un luogo di abbrutimento, dove l'abitudine all'allevamento animale assottiglia la distinzione tra uomini e bestie. Il contatto con una natura completamente domata e asservita ha generato quindi mostri per i quali lo sfruttamento della natura si allarga a quello dei propri consimili. Detto questo, il film, dopo un inizio ben orchestrato, cede nella sua parte centrale alle banali lusinghe del cinema della tortura che, pur in decadenza, è sempre parte consistente dell'horror odierno. Quando però si pensa, nonostante la brillantezza della messa in scena, di trovarsi di fronte al solito racconto delle disgrazie di una vittima più o meno innocente preda di alcuni pazzi, la vicenda si apre a un orizzonte del tutto diverso, quello di un monster movie vecchio stile, con riflessi quasi lovecraftiani. Il risultato è complessivamente accettabile, anche se certi snodi narrativi sono molto forzati e poco credibili (in particolare il "duello" di intelligenze tra la virago e Chinaski). La parte finale, lugubre e ben ambientata in una notte piovosa, si concentra su un assedio allucinato e stilizzato che tralascia le ragioni della narrazione per privilegiare quelle estetiche. Il look dei mostri non è particolarmente inventivo, ma è suggestivo e ben realizzato, per una volta senza preponderanze digitali. Origini e motivi della torma mostruosa sono lasciati a qualche vaga battuta qua e là, ma questa mancanza di approfondimento, se lascia trasparire un po' di superficialità, non è nemmeno troppo da biasimare tenendo conto che più si approfondiscono certi aspetti, più, generalmente, gli horror tendono a collassare, se non hanno una visione concettuale di base a prova di bomba. Sono interessanti anche alcuni dettagli bizzarri che servono a incuriosire sin dall'inizio: una ragazza avvolta nella plastica saltella velocemente e sbatte contro una parete, proprio mentre Max e Charlotte arrivano nel locale, senza che i due la badino minimamente. Oppure l'identificazione tra proprietaria e locale ("La Spack" sembra essere il nome di entrambi), che dà l'idea del radicamento in un luogo ostile, impossibile da abbandonare.
La trasformazione della ragazza da cinica, spavalda e nichilista (tira su l'autostoppista, gli racconta con nonchalance barzellette triviali, fa la dura con i motociclisti, dai quali verrebbe comunque brutalizzata senza un intervento esterno) a vittima sacrificale è interessante per l'arco caratteriale che traccia: anche chi pensa di non aver nulla da perdere, quando è il momento scopre che c'è sempre qualcosa da perdere (come ha scritto Bob Dylan). L'attaccamento alla vita è qualcosa di superiore a ogni filosofia. Gli altri personaggi sono meno approfonditi, meramente funzionali al racconto. Anche quello della rustica proprietaria del locale ai confini del mondo emerge non tanto per come è scritto nella sceneggiatura, ma per come è reso dall'interprete: Yolande Moreau sfodera infatti una performance vincente raffigurandola come una sorta di forza malata della natura, contro tutto e contro tutti.

Una promessa del cinema francese
Franck Richard, anche sceneggiatore, è all'esordio e promette bene, inserendosi come ennesima forza fresca in un movimento ampio e variegato, capace di alcune punte d'eccellenza, ma soprattutto di un buon prodotto medio, come questo, che il cinema italiano di genere non è più in grado di assicurare in quantità significative da ormai molto tempo. Nei ringraziamenti, oltre che i suoi genitori per avergli permesso a suo tempo di vedere Fog di John Carpenter, Richard omaggia quelli che devono essere stati i suoi punti di rife-rimento (Leatherface di Non aprite quella porta, Pinhead di Hellraiser, Jason di Venerdì 13, Michael Myers di Halloween, Dracula, Frankenstein e i Gremlins) definendoli i migliori baby-sitter del mondo.

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