Anno | 2009 |
Genere | Documentario |
Produzione | Italia |
Durata | 70 minuti |
Regia di | Elisabetta Sgarbi |
Attori | Toni Servillo, Andrea Renzi, Sabrina Colle . |
MYmonetro | 2,75 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento giovedì 6 agosto 2009
Elisabetta Sgarbi immagina che Luigi Ghirri, guardando fuori dalla finestra, veda e commenti le immagini delle sue fotografie
CONSIGLIATO SÌ
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Fotografo, paesaggista ma anche artista concettuale, che credeva nella fotografia come in un "metodo per guardare e raffigurare i luoghi, gli oggetti, i volti del nostro tempo, non per catalogarli o definirli, ma per scoprire e costruire immagini che siano nuove possibilità di percezione", Luigi Ghirri ha fermato la pianura emiliana in alcuni scatti indimenticabili, fotografie senza esseri umani che però recano almeno una traccia del passaggio umano. Paesaggi metafisici, "primavere notturne", istanti hopperiani, luoghi dove la linea dell'orizzonte non è barriera ma rilancio, verso qualcosa di ascetico e trascendente.
Elisabetta Sgarbi, che con Ghirri condivide l'origine emiliana, s'ispira al progetto mai realizzato del fotografo -una "casa delle stagioni", nei pressi della sua abitazione di Roncocesi, dove allestire mostre legate alla stagione corrente, in modo da creare una stretta relazione tra tempo naturale e tempo dell'arte- e scandisce il suo Deserto rosa sul ritmo della danza delle stagioni (il ballo, in scena, è di Andrea Renzi e Sabrina Colle).
Riproduce la finestra della casa e immagina che Ghirri stesso possa guardare le fotografie scattate e rifletterci, per mezzo della voce di Toni Servillo. Il fotografo che guarda i suoi paesaggi e la cineasta che guarda i paesaggi di per sé già cinematografici del fotografo, ricordano nei momenti migliori i cortometraggi di Luciano Emmer sui dipinti di Goya, Da Vinci o Picasso, e, in generale, la pratica del documentario d'arte.
L'intervento più radicale è certamente quello di modificare le coordinate delle inquadrature fotografiche per dar loro le misure dello schermo: non è più qualcosa che si guarda, ma qualcosa in cui si entra; poi vengono il movimento e il sonoro. L'idea è quella di fare un'esperienza diretta dell'opera, nel nome -tra le altre cose- di una riflessione sul buio e sulla luce che la Sgarbi cineasta corteggia da sempre e che della fotografia è la base, la quintessenza. Emmer arrivò poi a personalizzare l'opera con il ricordo del suo incontro con l'artista, la Sgarbi invece non opta per un cinema in prima persona, procura come Mecenate un incontro tra le diverse arti: la musica di Battiato, i testi di Aleksandr Sokurov, Diego Marani, Antonio Scurati, Vittorio Sgarbi. Le parole, però, non sono quasi mai all'altezza delle immagini di Ghirri; arrancano, ma non arrivano.
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