King Kong

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Un film di Peter Jackson. Con Naomi Watts, Jack Black, Adrien Brody, Andy Serkis, Jamie Bell.
continua»
Azione, Ratings: Kids+13, durata 187 min. - Nuova Zelanda, USA, Germania 2005. uscita venerdì 16 dicembre 2005. MYMONETRO King Kong * * * 1/2 - valutazione media: 3,90 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Paola Zanuttini

Il Venerdì di Repubblica

L’indigena di Skull Island, l’isola di King Kong, faceva davvero paura. Magari aveva una sua bellezza selvaggia, gambe lunghe, aria ferina, ma gli occhi erano iniettati di sangue, i capelli una giungla forforosa e i denti francamente ripugnanti. La circondavano, nella mensa della produzione, altre decine di nativi mezzi nudi, bagnati fradici dalle piogge spruzzate con gli idranti per un numero periodico di ciak. Avvolti in mantellacci bruni, avevano espressioni indiavolate, amuleti terrificanti, ed erano effettivamente un po’ su di giri perché avevano appena terminato una scena di danze sacrificali che farebbero alzare il sopracciglio a qualsiasi antropologo o paladino delle culture altre. Nessuno obiettava sulla scorrettezza politica di quella messa in scena: tutti contenti di stare lì. E avevano ragione, perché era uno spettacolo
La spaventosa indigena, in verità assai socievole, ci ha raccontato che era una profuga colombiana e che, come lei, tanti rifugiati dall’Africa e da altre guerre avevano trovato asilo in Nuova Zelanda e lavoro sul set del film da 200 milioni di dollari con cui Peter Jackson si è rimesso in gioco dopo la fortuna planetaria della Trilogia dell’anello. Lei, poi, era particolarmente soddisfatta: «Ho due lavori. Di notte faccio la comparsa, ma di giorno sono un’estetista». Poi, vista la perplessità suscitata, si è sfilata una dentiera piena di buchi e altre nefandezze e ha scoccato un sorriso impeccabilmente bianco: «Non sa quanto ci tengono al trucco per renderci cosi brutti!».
Peter Jackson ha una sua teoria sul fantasy: «Va raccontato in maniera realistica: più è inverosimile più dev’essere attendibile, sennò non scatta l’immedesimazione. E la paura. Proprio per questo motivo, visto che un’avventura del genere è inconcepibile nel mondo di oggi, ho mantenuto il clima e l’epoca del primo King Kong». Quello mitico, perfetto e insuperabile, anche secondo Jackson, di Merian C. Cooper ed Ernest B. Schoedsack (1933): «Oggi non ha attrattiva per i giovani soltanto perché è in bianco e nero».
Si vede che una trentina di anni fa i bambini neozelandesi erano di tutt’altra pasta, perché quando a nove anni Jackson guardò il film in televisione fu praticamente folgorato. Si decise proprio allora la sua carriera e un pezzo di storia del cinema, capitolo kolossal. Perché il giorno dopo, era un sabato mattina, il piccolo Peter agguantò il super8 del padre per mettersi alla prova come cineasta. Naturalmente, su un remake di King Kong.
Quindi, al perfezionismo di cui Jackson ha già dato prova nella Trilogia, e alla teoria del fantastico realistico si aggiunge l’ossessione di dare forma e sostanza a un sogno infantile. La dentiera della rifugiata colombiana è niente rispetto ai virtuosismi digitali e anche manuali (1400 effetti speciali, più che nell’intero ciclo dell’Anello). «Non sa quant’è noioso sto lavoro!» sbuffava un’assistente che spiluccava delle foglie da un bonsai per applicarle su un modellino della giungla che sembrava un presepe, grande come una sala da pranzo, montato con blocchetti di spugna isolante, spiedini di legno e inumana pazienza.
«Facciamo cose nuove con le regole di sempre» è stata per tutta la lavorazione la parola d’ordine di maestranze e tecnici della Weta, l’officina degli effetti speciali di Jackson e del suo socio Richard Taylor.
La verosimiglianza però non è solo questione di tecnica, ci vogliono i caratteri, i sentimenti: gli attori, insomma. Così per realizzare una convincente performance capture, ovvero un’interpretazione ripresa dal vivo e trasferita in digitale sul personaggio di Kong, Andy Serkis, che già si era prestato a questa corvée con il Gollum del Signore degli anelli, è stato spedito allo zoo di Londra e negli altipiani del Ruanda a studiare i gorilla dal vivo nel centro di Dian Fossey. Dove ha scoperto che non sono poi tanto diversi da noi: hanno il 97 per cento dei muscoli facciali uguali a quelli degli uomini.
Per far recitare questo scimmione di 120 anni, Otto metri d’altezza e 400 chili di peso, Jackson è ricorso più o meno inconfessatamente al metodo Stanislavskij: «Se questo personaggio fosse realmente esistito come si sarebbe comportato?» si è chiesto il regista. «Questa creatura che ha lottato con i tirannosauri, che ha vissuto uccidendo, che non sa niente dell’amore, e non ha mai avuto rapporti, come avrebbe reagito all’incontro con Ann?»
Per chi non lo sapesse, Ann, la Bella della Bestia, è un’attrice maltrattata dalla vita quanto basta per finire sull’isola in una spericolata spedizione cinematografica, che si trova immolata nel recinto di Kong. Succedono strane cose, sboccia anche una specie di amore, o di sindrome di Stoccolma, ma Jackson non ha mai voluto sconfinare nel patetico: «Kong è un personaggio antico, cattivo, spaventoso e deve far paura. Se anche per un attimo diventasse tenero o carino diventerebbe ridicolo».
Per onorare questo patto di aderenza alla realtà, che parlando di uno scimmione alto Otto metri risulta comunque surreale, Naomi Watts, prima di affrontare il ruolo della Bella, s’è letta pacchi di vecchi National Geographic, indagando com’era la realtà della Grande depressione e la giungla d’asfalto in cui una giovane newyorkese se la doveva sbrogliare. E ha davvero cercato di entrare in empatia con Kong, esagerando: «Non è violento ma persino tenero, anzi racchiude tutte le virtù che una donna cerca in un maschio: forza e dolcezza».
Adrien Brody, nei panni di uno sceneggiatore più intellettuale che avventurista, innamorato di Ann, ha ammesso di aver avuto i suoi problemi di ruolo: «La grande sfida è fra me e lo scimmione per l’amore della mia ragazza: capirete le difficoltà». Quando iniziò la lavorazione, l’attore era reduce dal successo e dai turbamenti del Pianista e si è trovato nel cast Thomas Kretschmann, che nel film di Polanski interpretava l’ufficiale tedesco per cui lui suonava alla fine.
Ma non è stato spiazzato tanto da quello, quanto dal fatto di entrare per la prima volta in un film virtuale: «Molto eccitante per uno che aveva sempre fatto storie realistiche. Sono finito in una stanza coi muri verdi fingendo di saltare sopra dinosauri o di combattere terribili minacce quando lì dentro non succedeva un bel niente. Eppure in questo manicomio ci siamo dannati per trovare il giusto timing delle azioni». Per esempio? Qual era il momento più credibile per dare il primo bacio ad Ann? Dopo averla salvata o prima che finisse nelle mani di Kong, per far capire che lei poteva essere la donna della mia vita, qualcosa che non volevo lasciarmi scappare?» La risposta, nei cinema italiani, dal 16 dicembre.
Da Il Venerdì di Repubblica, 9 dicembre 2005


di Paola Zanuttini, 9 dicembre 2005

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