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La politica degli autori: Peter Jackson

Un demiurgo che sorpassa il concetto stesso di arte corale.
di Mauro Gervasini

In foto Peter Jackson.
Peter Jackson (62 anni) 31 ottobre 1961, Pukerua Bay (Nuova Zelanda) - Scorpione. Regista del film Lo Hobbit - La desolazione di Smaug.

mercoledì 11 dicembre 2013 - Approfondimenti

Come solo George Lucas e Steven Spielberg prima di lui, Peter Jackson, classe 1961, è autore totale. Un demiurgo che sorpassa il concetto stesso di arte corale, perché del cinema pensa e organizza ogni singolo passaggio, dal soggetto alla post produzione, avvalendosi di tecnici e collaboratori che sappiano essere efficaci esecutori. Se Jackson non è soddisfatto degli effetti speciali, si inventa una compagnia che li sappia fare come vuole lui (la Weta Digital), un po' come fece il papà di Star Wars con la Industrial Light & Magic. Se lavorare a Hollywood risulta scomodo e complicato, costruisce un vasto studio vicino a casa, in Nuova Zelanda, dove poter avere tutto sotto controllo. Eccola la parola magica: il controllo. La trilogia di Il Signore degli Anelli ha inaugurato un sistema nuovo, reso possibile dalla tecnologia, al centro del quale si pone il regista ubiquo, in grado di dirigere più set contemporaneamente e quindi di realizzare nella medesima unità di tempo più di un film. Nella fattispecie, tre: La compagnia dell'anello (2001), Le due torri (2002), Il ritorno del Re (2003). A essere differenziati saranno poi marketing e distribuzione, in un processo che vede le riprese come momento importante quanto la post produzione, se non addirittura meno. Il risultato è perfetto, forse algido. E aspetta la prova del tempo: Il Signore degli Anelli, tra vent'anni, avrà la stessa freschezza vintage della trilogia originale di Star Wars?

Ma la rivoluzione è innegabile, e Jackson resta il cineasta con il quale oggi fare i conti. Si ricordano con affetto i primi film splatter, Fuori di testa (1987) e l'incredibile Splatters - Gli schizzacervelli, tripudio di trippa e sanguinaccio che contamina horror e parodia, liberatori visivamente e accolti dall'entusiasmo dei fan. Sin dal titolo successivo però, Creature del cielo (1995) si intuiva quanto a Jackson importassero altri percorsi, capaci di fondere autorialità e genere nell'ottica di una produzione imponente. Solo così si spiega lo sforzo di raccontare la complicità di due ragazze (una è Kate Winslet al suo esordio), disposte ad arrivare al delitto per difendere il loro rapporto, senza alcun intimo minimalismo, anche attraverso l'uso degli effetti speciali (Creature del cielo ha analogie formali con Amabili resti, tratto dal best seller di Alice Sebold, da Jackson diretto nel 2009).

Poi, ognuno ha il proprio Moby Dick. Quello del regista neozelandese è un gorillone, King Kong. Curioso come molti dei suoi progetti siano stati in nuce fin dall'infanzia e dall'adolescenza. Per dire: restò folgorato da Tolkien leggendo compulsivamente brani della trilogia in un viaggio da Wellington a Auckland, a diciassette anni. Mentre le visione del capolavoro di Cooper e Schoedsack del 1933 lo impressionò da piccolo. Voleva dirigere il remake di King Kong fin dai primi anni 90, ma solo il successo di Il Signore degli Anelli ha dato il via alla lavorazione. Il suo gorilla passionale, bigger than cinema verrebbe da dire, un po' rappresenta il desiderio di soddisfare la bulimia emozionale del pubblico tipico dei blockbuster. Lo stesso, verosimilmente, che sta comunque accogliendo bene la nuova trilogia tolkeniana dedicata a Lo Hobbit. Il secondo capitolo, La desolazione di Smaug (dal 12 dicembre in sala), s'inventa un personaggio estraneo al racconto, la guerriera interpretata da Evangeline Lilly, così da "hungergamizzarsi" un po'. Ma la magia è ormai soltanto un simulacro digitale.

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