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Ricchissimo, stratificato, stupefacente. Principessa Mononoke è il 'Titanic' di Hayao Miyazaki

Torna in sala il kolossal cartoon firmato dal maestro giapponese, spartiacque decisivo nel suo cinema e anche uno dei suoi più grandi successi commerciali. Dal 14 luglio al cinema.
di Simone Emiliani

mercoledì 13 luglio 2022 - Focus

È forse il film bellico di Hayao Miyazaki. Tra visioni, incubi e la presenza continua della morte come spettro opprimente. Non ci sono più le ombre che si affacciano in maniera leggera, poetica come nel caso della malattia della madre delle due bambine in Il mio vicino Totoro. In Principessa Mononoke la morte mostra direttamente il suo volto nella furia devastatrice con cui devasta il paesaggio, negli alberi abbattuti dalle persone del villaggio di Lasy Eboshi che estremizza uno dei temi ricorrenti del cinema del regista giapponese, il conflitto uomo-natura che in questo film non è più pacificato ma anzi è estremizzato in tutta la sua drammaticità. In più c’è la presenza del sangue, la follia e insieme la bellezza sul volto della “principessa spettro” San nella sua prima inquadratura e la ferita al braccio da cui è stato infettato Ashitaka nello scontro con il dio maligno che sembra condannarlo a una fine imminente.

In parte è anche un jidai-geki (dramma storico in costume). Così Miyazaki può dialogare direttamente con Akira Kurosawa. I continui passaggi di Ashitaka nei territori nemici, che possono essere sia quelli appartenenti agli umani della Città del Ferro, sia le divinità (il Dio-Bestia), sia il bosco dove è rifugiata San con i cani selvatici rimandano direttamente a La fortezza nascosta, dove l’avventura e il senso del pericolo contribuiscono a creare in entrambi i casi un ritmo vertiginoso.

Si, Principessa Mononoke, può essere visto come un film di guerra spettacolare. Non attraversa il cielo come Porco rosso, non c’è la città volante di Laputa – Castello nel cielo e il viaggio nel cielo notturno con Totoro che trasporta Satsuki e Mei in Il mio vicino Totoro, ma già nella sequenza iniziale del cinghiale-demone che insegue Ashitaka c’è quella spinta verso una drammatica fuga dove il protagonista potrebbe liberarsi in aria. Oppure c’è un'altra scena fondamentale in cui Ashitaka guarda il bosco dall’alto. Potrebbe precipitare di sotto. Alle spalle ha Moro, il cane selvatico madre adottiva di San. C’è tutta la vertigine dello spazio che potrebbe inghiottire il ragazzo. Ma ecco che proprio in quel momento, la magia di Principessa Mononoke mostra invece i suoi frammenti vitali, le aperture verso il futuro attraverso un disegno pieno di dettagli ma in cui si intravedono i segni della fragilità dei movimenti perché anche da un punto di vista grafico le azioni dei personaggi fanno vedere le loro incertezze, la paura ma anche la speranza.

Ci sono i segni di vita. L’acqua e il fuoco. La luce gialla e verde tra gli alberi. La pioggia. La possibilità di un amore comunque impossibile ma che riesce a far intravedere sotterranee traiettorie sentimentali. Miyazaki guarda ancora a uno dei suoi punti di riferimento come Osamu Tezuka, il “padre dei manga”. San ha nel DNA tracce di Astro Boy. Non è meccanico come lui ma è una creatura non più umana che però conserva sentimenti e istinti umani. Ed è dai suoi personaggi, insieme che alle storie, che nel cinema di Miyazaki tornano a risplendere quelle forme di vita dopo che tutto poteva essere distrutto, soprattutto nel momento in cui è stata tagliata la testa al Dio-Bestia.

Principessa Mononoke è il Titanic di Hayao Miyazaki. Oltre ad essere uscito nello stesso anno del film di James Cameron, è stato anche uno dei più grandi successi commerciali al box office dello studio Ghibli. Ma è proprio la sua dimensione kolossal ad accomunarlo al grandissimo film del cineasta statunitense. C’è una ricchezza di forme, colori, inventiva, ancora oggi stupefacente. Principessa Mononoke è stato il primo film di Miyazaki a utilizzare la computer grafica in alcune scene, anche se per la maggior parte del film è composto da disegni fatti a mano e circa la metà sono dello stesso regista.

Ancora oggi, dopo 25 anni, è un’opera complessa, stratificata, che fonde la tradizione (la storia e la leggenda del Giappone), con la modernità. Offre diversi piani di lettura, di visione, per ogni tipo di pubblico. Però poi, come in gran parte della sua opera, apre porte su altri universi, lascia interagire con altre entità che sembrano osservare da fuori la vita dei protagonisti ma poi entrano in contatto con loro come i kodama, gli spiriti degli alberi. Nel momento in cui entrano nel film e poi si moltiplicano, creano uno stato sospeso, tra la realtà e la dimensione onirica che entra nella storia e poi la avvolge. Principessa Mononoke è sotto questo aspetto uno spartiacque decisivo tra il cinema precedente e quello successivo di Miyazaki. Già da La città incantata, tutto il film può essere solo un sogno lunghissimo e ininterrotto.


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