La morte del cigno

Film 1917 | Drammatico 49 min.

Regia di Yevgeni Bauer. Un film con Vera Karalli, Aleksandr Kheruvimov, Vitold Polonsky, Andrej Gromov, Ivane Perestiani. Titolo originale: Umirayushchii Lebed. Genere Drammatico - Russia, 1917, durata 49 minuti.

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Ugo Casiraghi
Ugo Casiraghi

Uscita nel gennaio '17, l'opera si riallaccia a Sogni a occhi aperti e a Dopo la morte, completando in bellezza un ideale trittico funebre. Come nei film precedenti, due sono ancora i protagonisti: la ballerina che esegue la danza del titolo e il pittore maniaco che, ossessionato dall'idea di fermare sulla tela la morte, la sceglie come modella in quanto attratto dalla sua abissale malinconia di ragazza muta. La lunga scena del balletto (la protagonista, Vera Karalli, usciva dal corpo di ballo imperiale) rinuncia ad ogni orpello decorativo per fissarsi sulla spiritualità della danza. Ma nell' atélier dell'artista, in cui tra l'altro campeggia uno scheletro su un pavimento a scacchi, non soltanto si accende l'ormai ben noto gusto scenografico e luministico di Bauer, quanto la sua arditezza nel sondare la mente dei due personaggi attraverso frammenti del passato inseriti a lampi senza rompere la continuità del presente. Anche il carrello all'indietro, divenuto dopo quello in avanti uno dei punti forti del linguaggio baueriano, è usato per aprire nuove prospettive e accrescere potentemente la suggestione.
Il film si presentava con un lungo prologo in esterni (cosa piuttosto rara in Bauer, che prediligeva lo studio). C'era poi soltanto una parentesi su una terrazza al mare, in cui l'amico ritrovato dichiara alla ballerina il suo amore. Essa giunge perciò all'ultimo appuntamento col pittore piena di fervore di vita, e la sua posa non è più quella di prima. Il pittore se n'avvede e, giunto al parossismo nella sua folle gara per catturare la morte, soffoca la povera ragazza, che non può neppur gridare per difendersi, facendole assumere la posizione che conviene alla sua «arte». Dopo la limpida ouverture così ingannatrice, si consuma dunque tutto in interni, nel chiuso dell'ossessione, questo lugubre inno alla morte scandito da incubi, come il sogno di Gisella con la dama velata, da gesti premonitori, come il pittore che sparge fiori dove lei cammina, da esclusioni importanti, come il quadro che viene dipinto, e che non ci è mai mostrato.

Da Alfabetiere del cinema, a cura di L. Pellizzari, Falsopiano, Alessandria, 2006

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