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I 90 anni di Liliana Cavani

La regista, testimone del sentimento e della cultura di un'epoca, compie 90 anni il 12 gennaio.
di Pino Farinotti

mercoledì 11 gennaio 2023 - Focus

Lunedì scorso al ministero della Cultura a Roma è stata festeggiata Liliana Cavani, che compie novant’anni il 12 gennaio. Erano presenti Gennaro Sangiuliano, ministro della Cultura e Vittorio Sgarbi. Sono stato invitato ma non ho potuto andare. Diciamo che ero “virtualmente” presente.

Della Cavani scrivo. E’ doveroso. Cavani è stata, è, una voce garante, potente e onesta, nel racconto del sentimento e della cultura della nazione. Laureata in lettere si diploma in regia al Centro Sperimentale di Roma. Dunque una base più che solida per cominciare il suo viaggio.

Esordisce nel 1966, 23enne, per la televisione, col suo primo San Francesco. Che rimarrà un tema identitario reperibile in molti dei lavori di Cavani che, in merito, ha dichiarato: “Francesco per me è un viaggio. Lo si sta scoprendo solo da qualche tempo, è stato il rivoluzionario più totale. Mentre il comunismo ha vantato l’uguaglianza, lui ha vantato la fratellanza, che è tutta altra cosa, un’altra visione sulla natura del mondo. Non siamo uguali, ma possiamo essere fratelli. Un concetto di una modernità incredibile.”
L’autrice rilegge l’icona del santo liberandolo dai sedimenti agiografici e rituali proponendolo come figura allegorica del dissenso nel mondo cattolico. Oggi Francesco farebbe davvero una gran fatica a orientarsi. E chissà come si porrebbe, l’uomo di Assisi fra due papi tanto diversi. Mi piacerebbe chiederglielo, a Liliana. Nel Francesco del 1989 riprenderà la materia attraverso i racconti di Chiara e di alcuni frati che ne stanno scrivendo la biografia dopo la sua morte.

La Cavani “perfeziona” l’indicazione di 23 anni prima continuando a niente concedere di agiografico, facendo di Francesco un Cristo ribelle più che un santo, un hippie solitario piuttosto che un eroe. Col surplus del divo hollywoodiano Mickey Rourke che porta sostanza al botteghino e … non guasta.  

Cavani è una “storica” del sociale, della politica, della cultura. Ma senza aderire allo schema di un Oliver Stone o di un Francesco Rosi, autori che hanno recuperato e approfondito le grandi cronache del secolo. Liliana si affida a esempi, a modelli umani e individuali che scendono ancora di più nel profondo.

Certo non le mancavano cronache e indicazioni: il cuore dei decenni Sessanta e Settanta. Era il tempo del mitologico slogan “fantasia al potere” che si evolveva poi nei cubetti di porfido, nelle spranghe, nelle chiavi inglesi e nelle P38. Ci furono decine di film in quel senso, ma la Cavani tradusse quella violenza nella violenza, recondita, dell’animo umano sempre lì, pronta a manifestarsi. Una visione personale, magari più forte.  Francesco è la fiamma che accende Galileo, primo titolo da grande schermo, del 1968. La vicenda del genio che dovette sottomettersi alla stupidità religiosa e istituzionale mette a fuoco il conflitto del Seicento, tra scienza e religione, che richiama quello moderno tra individuo e stato. Il film presenta un’estetica bella.

Indimenticabile la sequenza dove Galileo e Giordano Bruno, su un tetto veneziano, guardano il cielo e parlano delle stelle e di dio.
I cannibali, del 1969, rileva il cannibalismo del potere che fagocita idee e propulsioni della società e degli individui illuminati. Oggi forse la signora Cavani sostituirebbe cannibali con burocrati.

Sempre impegnata nell’instancabile ricerca sull’animo umano l’autrice guarda a oriente col suo Milarepa (1973), girato per la televisione. Questa volta il target è la società tecnologica, a confronto col rigore estremo e sacrale dell’eremita tibetano. Il portiere di notte (1974) è una radiografia impietosa della natura sadomaso del nazismo attraverso il rapporto oscuro tra il carnefice e la vittima. La critica amò e odiò quel film. Ma il pubblico riempiva le sale.

Potremmo chiamarla ricerca tedesca quella a cui si dedica in quel periodo la Cavani, con titoli come Al di là del bene e del male (1977), una ricerca sulla personalità (ultra)complessa di Nietzsche e Interno berlinese (1985), ancora un focus su un triangolo sessuale negli anni del nazismo.

Ma nel 1981 la Cavani ha adottato uno dei grandi romanzi del Novecento, La Pelle di Curzio Malaparte. Trattasi di discorso sulla miseria, sulla fame, su quell’inferno che è la guerra, nel contesto di Napoli del 1943 dove tutto si ingigantisce. Malaparte e Cavani mostrano una città che si prostituisce senza dignità.
Alla fine qual’ è l’assunto: la guerra non risparmia nessuno, che vinca o che perda.

Complimenti Liliana. E auguri, di cuore!  


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