Compie 200 anni il canto immortale del poeta di Recanati, emblema della sua grandezza e protagonista anche al cinema.
di Pino Farinotti
Giacomo Leopardi (1798-1837) scrisse 'L'infinito' due secoli fa, fra il dicembre del 1818 e il gennaio del 1819, aveva vent'anni. Quella lirica è considerata uno dei maggiori incanti prodotti dalla poesia universale. Il 20 dicembre a Recanati si è inaugurata una mostra per i 200 anni del "canto". Ma non si esaurisce lì la memoria, l'eco parte dal paese natale del poeta e si irradia dovunque. "Dovunque" non è un concetto inadeguato, perché Leopardi, nella sua epoca, era ritenuto il maggiore poeta italiano e una figura dominante della poesia europea. Se vogliamo "poeta" è riduttivo perché l'azione del recanatese si estende alla filosofia, alla scrittura, alla filologia, insomma a tutto. Il termine "genio" ci sta senz'altro, così come "prodigio" se è vero che a nove anni scriveva in latino e conosceva le regole della versificazione e della metrica.
Il conte Monaldo, padre di Giacomo, severissimo, letterato, riteneva che il figlio, così come i suoi fratelli, dovessero vivere studiando, "oppressi" dalla grande libreria di famiglia. La vita "fuori" non era necessaria ma Giacomo ne soffrì e così cercò di "vivere" attraverso la sua fantasia, che non aveva limiti. 'L'infinito' fa parte di questa ricerca di evasione.
Quando nei primi versi scrive "Sempre caro mi fu quest'ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte, dell'ultimo orizzonte il guardo esclude..." allude alle pareti della sua prigione. L'immobilità, l'impotenza costretta, furono la spinta per quei versi. Una narrazione dell'"Infinito" non è davvero semplice. Hanno scritto volumi interi con esegesi "infinite", ma in queste righe niente lemmi come iperbato o indiamento. Attraverso una sintesi, certo arbitraria e insufficiente, si può rilevare la siepe come ostacolo per l'orizzonte, ma la fantasia può intuire "interminati spazi" ma anche "sovrumani silenzi" che possono portare sgomento e un'indicazione di eternità, favorita dallo "stormire del vento" che con la sua mobilità può portare lontano, verso l'infinito, appunto. Verso il futuro ignoto, verso un'illusione che non ci abbandona mai.
La mia generazione, in gran parte almeno, quel Canto lo sa a memoria. Una volta nella scuola si usava così, e certo non era una cattiva abitudine. 'L'infinito', per la sua storia e la sua potenza, è diventato spesso attore protagonista in varie discipline che sorpassano la scrittura. Il cinema per esempio. È recente le ricerca su Leopardi di Mario Martone col suo Giovane favoloso. Elio Germano, che fa Leopardi, recita nella notte, fra le gli alberi mossi dal vento, la lirica integralmente. Elio è efficace a trasmettere il sortilegio. Ne Il federale, diretto da Luciano Salce nel 1961, Ugo Tognazzi, graduato della milizia fascista, del tutto ottuso e mentalmente asservito al regime, ha l'incarico di portare a Roma il professore antifascista Bonafé, che per abitudine ha sempre con sé un'edizione tascabile dei Canti di Leopardi. Tognazzi costringe il prigioniero a dargli una per una le paginette dei testi, per farne della sigarette. Quando è la volta dell' 'Infinito' il professore si rifiuta. Non valgono le minacce del milite, Bonafé non molla, anzi, rilancia, e gli legge la poesia "chissà, magari qualcosa impari". Persino l' irreggimentato guardiano rimane colpito.
Potere dell'"Infinito". Qualche anno fa Enrico Brignano, in televisione, commentò il Canto in chiave burlesca, a sfottere i versi e il suo autore. Ero furibondo, pensai di scrivere all'emittente, ma non è il mio genere. Sappiamo che è facile dissacrare, lo puoi fare sempre, con 'L'Amleto', 'La Divina commedia', 'Guerra e pace' , il 'Werter', Per 'chi suona la campana' e così via ma dico che occorrerebbe rispetto e franchigia. Leopardi nelle mani di Brignano... mamma mia! Il grande schermo e il piccolo schermo, questa comunicazione pop, applicati al poeta, possono sembrare una contaminazione, ma sono solo strumenti, utili a raccontare, meglio a divulgare, il valore ecumenico di quella poesia. L'auspicio è che questo editoriale faccia leggere 'L'infinito'.