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ONDA&FUORIONDA

Jean Valjean che canta in inglese: no, mon dieu!
di Pino Farinotti

In foto Victor Hugo.

domenica 10 febbraio 2013 - Focus

Per cominciare ringrazio il cinema. Con questa edizione i miei "Miserabili" si sono avvicinati ai "Tre moschettieri". Un conto che io e il mio grande coetaneo e amico Alexandre Dumas continuiamo a tenere. Son cose che sembrano appartenere a spiriti leggeri e vanitosi e magari, in vita, lo eravamo -vanitosi, certo non leggeri- c'era rivalità fra noi, avevamo attitudini diverse, è notorio, ma c'era anche amicizia. Ma qui finiscono le liete note legate alla disciplina filmica, perché io ero legato a un Jean Valjean che amavo, perché "era" Valjean. Parlo di Jean Gabin, francese. Qui mi si propone tale Hugh Jackman, australiano. Mi si dice essere modello di grande sessualità, idolo del pubblico femminile. Per il mio Jean avevo puntato su qualità diverse.
E voglio dire di Fantine. La mia eroina, sofferente, disperata abbruttita e maltrattata, costretta a prostituirsi e a morire di crudeltà e miseria. L'ho molto amata Fantine, confesso che lavorando su di lei ero coinvolto e debole. E quando scrissi la sua morte, piansi. Vedendo, nel riquadro filmico, questa Fantine, nel corpo nel volto di tale Anne Hathaway, americana di Nuova York, esalare l'ultimo respiro, anch'io, lo confesso ho esalato un sospiro, ma di sollievo, dopo che per venti minuti avevo avuto nei timpani lo spillo di quella vocina acuta. E vale anche per Cosette, che ha la stessa voce della madre.
Ho invece apprezzato il momento della rivoluzione, fallita, contro Luigi Filippo. Il giovane ribelle Enjolras era efficace. E mi ha ricordato "La libertà che guida il popolo", il magnifico affresco di Delacroix, con la Francia rappresentata da quella popolana a seno nudo, che affronta i fucili dell'esercito oppressore. La barricata dell'opera filmica l'ho gradita e anche quella canzone eroica "Red and Black", anche se mi si permetta di privilegiare "rouge et noir".

Ma c'è un personaggio, nel romanzo, Monsieur Gillenormand, il nonno di Marius l'innamorato di Cosette, rimosso davvero colpevolmente. E' troppo centrale nel racconto: un vecchio bonapartista che ha combattuto a Waterloo. E se il frastuono dell'opera filmica non mi ha completamente distratto o rintronato, non se ne parla. Gillenormand l'avevo creato ispirandomi a mio padre Léopold-Sigismond, che era un nobile nominato da Napoleone, e aveva prestato servizio in Spagna sotto un Bonaparte, Giuseppe, fratello dell'imperatore. A Waterloo non c'era, era troppo vecchio, ed è stato il più grande dolore della sua vita. Ho cercato di ripagarlo attraverso il nonno di Marius. Per noi Hugo, anche per me, avevo tredici anni e capivo, Waterloo è stata una tragedia personale. E magari potevo perdonare agli inglesi quella loro vittoria, ma non l'esilio finale là in mezzo all'Atlantico, dell'amato Napoleone. Tutto questo, così determinante nel mio romanzo, è ignorato nel musicale. Ma non voglio apparire un assoluto anglofobo. Per contrastare questa mia antipatia, chiamiamola così, faccio rilevare che uno dei miei drammi più importanti è Cromwell, un eroe massimo, un borghese che decapitò un re. Insomma... un vero "francese". Però inglese.
L'autore si preoccupa di trasmettere soprattutto mélo dolce-amaro. Lunghi, lunghissimi monologhi di introspezione, di autocoscienza amorosa. Con note monocordi, senza melodia. E non mi si dica che disprezzo certi sentimenti, che non so essere romantico. Il romanticismo l'ho inventato io, lo dicevano tutti, lo dice la storia.

E poi il dialogo, che non c'è. Eppure i miei dialoghi non erano ... così male. E credo di poter dire la mia in fatto di sceneggiature e di drammaturgia: non ho scritto solo romanzi, ma ho messo in scena dodici pièce teatrali. No, no, non ci siamo caro signor Tom Hooper, regista. Naturalmente non parlo di lesa maestà, nessuna maestà si sente lesa dalla disciplina filmica che si può permettere tutte le licenze. L'ho misurato sulle tante trasposizioni del mio "Misérables". Ma far cantare parole così nobili, culturalmente ed esteticamente francesi, in inglese, per di più da australiani: questo no! Mon dieu.
Un'altra considerazione, un particolare. Una delle scene più drammatiche e importanti è quella di Valjean che si porta sulle spalle Marius ferito, attraverso le fogne di Parigi. Anch'io, come fanno i vostri registi, feci un sopraluogo per potermi avvicinare il più possibile alla verità. E' vero, le fogne erano piene di merda, ma non era così alta.
Voglio concludere con un promemoria opportuno. Sono passate tante generazioni e tante evoluzioni della cultura, del racconto, del sociale, di tutto. Credo che una rivisitazione, un promemoria, appunto, si imponga. E sia utile. L'incipit dei "Misérables". Quello vero.

"Fino a quando esisterà, per causa delle leggi e dei costumi, una dannazione sociale, che crea artificialmente, in piena civiltà, degli inferni e che complica con una fatalità umana il destino, che è divino; fino a quando i tre problemi del secolo, l'abbrutimento dell'uomo per colpa dell'indigenza, l'avvilimento della donna per colpa della fame e l'atrofia del fanciullo per colpa delle tenebre, non saranno risolti; fino a quando, in certe regioni, sarà possibile l'asfissia sociale; in altre parole, e, sotto un punto di vista ancor più esteso, fino a quando si avranno sulla terra, ignoranza e miseria, i libri del genere di questo potranno non essere inutili."

di Victor Hugo

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