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Lo sguardo ostinato

La scomparsa di Paolo Rosa, maestro, incantatore e grande comunicatore dell'arte.
di Dario Zonta

Paolo Rosa con i membri dello Studio azzurro.
Paolo Rosa 1949, Rimini (Italia) - 20 Agosto 2013, Corfù (Italia).

martedì 27 agosto 2013 - Focus

Qualche giorno fa il mondo dell'arte, della cultura e del cinema ha perso un grande protagonista, Paolo Rosa, morto all'improvviso mentre fumava una sigaretta guardando il mare nella sua amata Grecia. Oggi dalle 17 alle 24 alla Fabbrica del Vapore di Milano, sede storica del collettivo di Studio Azzurro di cui Rosa era l'anima, si svolgerà un ricordo, occasione di incontro per tutti coloro, e sono tanti, che lo hanno conosciuto e amato.
L'improvvisa scomparsa di Paolo Rosa è una notizia terribile e terribilmente triste non solo per la comunità che ha incrociato la sua strada, ampia e solare, ma anche per il mondo dell'arte che perde un faro luminoso, una punta avanzata verso il futuro.
Un uomo dolce e intelligente, capace di trasformare i codici matematici in narrazioni e in visioni, capace di cogliere nella videoarte i processi di interazione, avendo sempre presente che davanti all'opera ci sono dei soggetti, un uomo, una donna, un bambino, non solo fruitori ma elementi propri e primi dell'opera stessa. Paolo Rosa è stato anche un grande maestro, un pedagogo (insegnante e direttore della scuola di nuovi media e tecnologia all'Accademia di Brera che aveva fondato). Quando parlava e spiegava la sua arte e il suo mestiere riusciva a incantare qualsiasi platea, rendendo accessibile anche il concetto teorico più arduo. Ecco è questo che oggi mi sembra essere il portato più grande del lavoro svolto con Studio Azzurro, insieme a Fabio Cirifino, Leonardo Sangiorgi e Stefano Roveda. Se oggi non fosse una parolaccia, diremmo che Rosa è stato un grande comunicatore, un uomo capace di fare entrare in un contatto profondo l'arte con le persone, erigendo città invisibili e creando all'interno di queste nuovi e più consapevoli cittadini. Basta citare in questo senso tra i tantissimi lavori quello realizzato per il padiglione italiano a Shangai.

Paolo Rosa e Studio Azzurro hanno utilizzato tutti i linguaggi a loro disposizione per creare narrazioni visive. Anche il cinema è rientrato nel loro alveo e vorremmo, nello spazio di questa rubrica, dedicare qualche riga a questa effrazione, aprendo una finestra lasciata semichiusa dallo stesso mondo asfittico del cinema che ha sempre mal tollerato le intromissioni delle altre arti.
Rosa ha lavorato a due lungometraggi realizzati a distanza di molto tempo l'uno dall'altro: L'osservatorio nucleare del dottor Nanof girato agli inizi degli anni Ottanta e Il Mnemonista, firmato con Studio Azzurro, nel duemila.
Prima ancora di dire qualcosa su questi film, sperando così di attivare la curiosità postuma di qualche amante di cinema e di meglio centrare il senso del loro essere stati, vogliamo citare l'attivismo di Rosa come agitatore culturale e sperimentatore cinematografico nell'ambito dei collettivi anni Settanta e del coevo movimento, ispiratore tra l'altro di manifesti teorici ancora pungenti e componente del gruppo di Indigena. A cavallo della fine di un'epoca e l'inizio di un'altra, all'inizio degli anni Ottanta, Rosa girò un film sperimentale poi portato alla Mostra di Venezia che fu straordinariamente preveggente per la capacità di inchiodare nuovi comportamento sociali in una forma altrettanto innovativa, l'autoritratto semi-involontario, fagocitata anni dopo dalla peggior televisione popolare. In Facce di festa Paolo Rosa piazza una videocamera nel bagno di una casa privata dove si svolge una festa, riprendendo gli astanti in tutti i loro comportamenti tra osservazione primaria e nuova inchiesta sociologica. Un film e un documento di valore storico che per certi versi e con tutte le dovute differenze, possiamo paragonare ad Anna di Grifi per quella capacità di inchiodare il reale nel momento in cui si sta formando.

Il suo primo film lungometraggio, L'Osservatorio nucleare del Signor Nanof, è ispirato alla vicenda reale di Oreste Fernando Nannetti, detenuto nel manicomio di Volterra, e girato proprio nei locali abbandonati della stessa ex casa di cura, lungo i muri che portano la testimonianza delle visioni di Nannetti, che per tutti gli anni della sua detenzione, quasi la sua intera vita, aveva iscritto, incidendo con la fibbia della sua cintura, sui muri esterni del cortile, dando luogo a dei graffiti fantascientifici, resoconti di immaginarie conversazioni con esseri viventi di altri pianeti. Nannetti aveva inventato un alfabeto, che ricorda i simboli runici, mediante i quali comunicava con i suoi compagni immaginari; questa scrittura misteriosa incisa nei muri dell'ex manicomio è anche corredata da disegni di astronavi e di razzi spaziali, con cui forse Nannetti sperava di sfuggire alla sua terrena condizione. Ancora una volta è il linguaggio non lineare e l'immaginazione visionaria ad affascinare Paolo Rosa e i suoi collaboratori che girano nel 1985 questo film sperimentale. Il film è interpretato tra gli altri, da Giorgio Barberio Corsetti, attore e regista teatrale, sperimentatore con cui lo Studio ha collaborato in quegli anni, basti ricordare l'esperienza legata alla "Camera Astratta".

Il secondo lungometraggio è Il Mnemonista, ispirato al testo del neurologo Alexander Lurija, "Viaggio nella mente di un uomo che non dimenticava nulla" che racconta la vera storia del signor S. vissuto nella Russia degli anni Venti e affetto da una rara sindrome che lo portava a trattenere qualsiasi informazione, condannandolo ad accumulare strati infiniti di memoria. Paolo Rosa rimase molto affascinato da questa storia che già all'inizio del 2000 andava ad intrecciarsi con le riflessioni teoriche portate avanti in campo artistico dal collettivo di Studio Azzurro. Nel film il protagonista, interpretato da Sandro Lombardi, dialoga con il suo neuropsicologo, interpretato da Roberto Herlitzka, spiegandogli il procedimento con il quale la sua mente infinita formava gli archivi della memoria. Si trattava di un procedimento visivo con il quale il signor S. trasformava ogni ricordo, immagine, suono, informazione in un vero e proprio codice visivo che si imprimeva in maniera indelebile nella sua memoria. Questa affascinante mappatura mentale fatta di tracce visive era il luogo ideale per scatenare la curiosità di Studio Azzurro e Paolo Rosa. Il film è stato girato a Milano negli spazi ancora dismessi della Fabbrica del Vapore, dove costruivano le locomotive, da qualche anno sede di Studio Azzurro, e nell'area dell'ex istituto serioterapico di Milano dove ora sorge la Naba. Spazi industriali dismessi carichi di invisibili tracce visive e memorie storiche. Girato in pellicola con la fotografia espressiva di Fabio Cirifino, compagno artistico di Paolo Rosa, sin dai primissimi anni, Il Mnemonista si rifà agli stilemi visivi del cinema delle avanguardie artistiche, non solo per accuratezza filologica (la storia del signor S. ha luogo nella Russia anni 20 del secolo scorso), ma soprattutto per l'appartenenza e provenienza di Paolo Rosa e dello Studio alle arti visive piuttosto che al cinema classico. Le immagini mnemoniche che il Signor S. evoca nel film, nel suo tentativo di illustrare a Lurija il funzionamento della sua mente prodigiosa, sono rese nel film mediante effetti visivi che fanno riferimento alle sperimentazioni artistiche e fotografiche delle avanguardie di artisti come Man Ray, Breton, Cocteau... Quando il signor S. racconta, si materializzano le immagini della sua mente, tutte rese fotograficamente con effetti di illusioni ottiche realizzate in fase di ripresa in maniera artigianale e semplice ma con risultati sorprendenti; nessun effetto nel film è frutto della post produzione o di elaborazioni al computer, procedimento opposto quindi alle lavorazioni di tutte le opere di video arte e installazioni visive dello Studio, come a voler sottolineare l'appartenenza del loro cinema a un ideale bottega di cinema artigianale e una distinzione nella pratica artistica e teorica tra la loro produzione cinematografica e quella video/interattiva.

Ecco, questo è un piccolo e non esaustivo contributo alla memoria dell'esperienza cinematografica di Paolo Rosa.

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