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ONDA&FUORIONDA

Lo Hobbit, Elisabetta, J.R.R. Tolkien, Peter Jackson: dalla pagina al fotogramma.
di Pino Farinotti

Un'immagine della compagnia dei Nani del film Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato.

domenica 16 dicembre 2012 - Focus

L'attesissimo film di Peter Jackson tratto dal romanzo di Tolkien, Lo Hobbit - Un viaggio inaspettato, è nelle sale. È quello che si dice un prequel, cioè un antefatto della mitologica trilogia del Signore degli anelli.

Da alcuni anni, esattamente dal 2000,J.R.R. Tolkien è uno degli scrittori più popolari del mondo. La ragione è semplice, è il cinema. Naturalmente Tolkien aveva un mercato, una popolarità, e un prestigio, anche prima. Quell'immenso librone dalla copertina gialla, "Il Signore degli anelli", edito da Rusconi, era un modello, quasi un simbolo, diciamo pure una sorta di forca caudina alla quale dovevi sottostare, un po' come l'"Ulisse" di Joyce che molti avevano in libreria, ma quasi nessuno aveva letto per intero. Naturalmente, come ho detto, la qualità di Tolkien è sempre stata fuori discussione. Ma il cinema, non è improprio dirlo, ha "influito" anche sulla qualità. Com'è successo a testi come "Via col Vento", "Ben Hur", "007", "Lawrence d'Arabia", e, salendo e limitandosi a una citazione nostra, anche a "Il Nome della rosa".
Il cinema ha rilanciato i romanzi e costretto i critici, severi per definizione, magari snobisticamente severi, a rivedere il giudizio a fronte di un successo così abnorme. Nel caso di Tolkien i film sono stati un promemoria opportuno, hanno solo perfezionato, ottimizzato il senso di quelle storie. Ribadisco, Tolkien aveva tanti lettori anche "prima", dopo i film ne ha di più. Se consulti i testi, i dizionari, al lemma Tolkien, prima dell'era contemporanea veniva dedicata una modesta sezione, non molte righe, che si sono invece decuplicate per la ragione detta sopra.
È comunque un dato che l'autore inglese sia un grande inventore e un legislatore, un uomo, uno scrittore e uno studioso completo.

Maggiori
Una classifica redatta da "Times" lo ha posto al sesto posto fra i maggiori scrittori britannici dal dopoguerra. Vi appare anche J.K. Rowling, madre di "Harry Potter" e anche lei, è indubbio, deve molto al cinema. Non è improprio dire che Tolkien ha dato sostanza e identità, facendone un genere nobile, alla narrativa fantasy, anche se altri l'avevano esplorata prima di lui. Come spesso accade vale la "genetica" di un autore, e in questo senso assume importanza la madre Mabel che trasferì a John Ronald Reuel la passione per le lingue e le fiabe. Decisivo è il capitolo guerra: nel 1915 il ventitreenne Tolkien si arruolò come sottotenente. Partecipò alla decisiva battaglia della Somme, vide morire tre suoi cari amici, si ammalò e venne rimpatriato. Successivamente ebbe una cattedra in lingue all'università di Leeds e nel 1925 ottenne la cattedra di filologia anglosassone a Oxford. Snodo ancora più decisivo. È in quell'epoca che Tolkien conobbe Lewis, l'autore delle "Cronache di Narnia". Insieme fondarono il circolo degli Inklings. Il progetto, certo ambizioso, con incontri non ufficiali, magari segreti, era quello di una nuova letteratura inglese intenta a rileggere il vangelo attraverso vicende epiche ma anche di formazione, rivolte ai giovani. Le cifre dell'opera di Tolkien erano ormai configurate. Alla base c'era la lingua: lo scrittore docente ne creò una che aderisse allo spirito dei contenuti, la lingua elfica, con autonome regole di alfabeto. Il termine "mitologico" usato sopra è corretto e la nuova lingua doveva aderire al "nuovo" impegno di creare una letteratura epica, che richiamasse quella greca e romana, di ispirazione celtico-nibelungica, ma che facesse della vocazione cristiana la propria missione. È la base delle grandi opere dell'autore inglese, "Lo Hobbit", la Trilogia e il "Simarillon". Quest'ultima vale come primo motore e rappresenta la riproposta della creazione biblica in chiave nibelungica, la caduta di Lucifero-Morgoth, del suo successore Sauron, e l'ascesa degli uomini. È la cosiddetta "prima era". L'opera cui Tolkien era più legato, anche se è incompiuta. Lo "Hobbit" è la conseguenza, per ordine logico, ed è il racconto di collegamento verso la "trilogia dell'anello" che consacrò Tolkien come autore del mondo. Nel "Signore degli anelli" domina il simbolo dell'anello riscoperto per caso, mentre prevale la caccia al drago Smaug e al suo oro: un riferimento all'Oro del Reno di Wagner, dove il gigante Fafner ruba l'oro del fiume e si trasforma in drago per custodirlo. I riferimenti sono dunque espliciti, Wagner e i Nibelunghi, le saghe del nord: è la vicenda dell'era di mezzo e della sconfitta finale di Sauron. Ma non sarà l'ultima era...

È del tutto doveroso concludere con l'autore "spurio" -definiamolo così- del Signore degli anelli, il cineasta Peter Jackson (3 Oscar legati a Tolkien) che ha colto al meglio lo spirito, la cultura e l'estetica della Trilogia, applicandovi un grande cinema. È neozelandese, dunque britannico, ma ci ha pensato la regina Elisabetta a renderlo... più inglese, insignendolo del titolo di "sir". Dopo, naturalmente, aver insignito John Ronald Reuel Tolkien del titolo di Comandante dell'Ordine dell'Impero Britannico.
Dunque riconoscimenti reali che uniscono la pagina al fotogramma.

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