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La politica degli autori: Tarsem Singh

Dai Rem agli dei dell'Olimpo, un regista dai complessi concept visuali.
di Mauro Gervasini

In foto Tarsem Singh, regista di Immortals 3D.
Tarsem Singh (63 anni) 26 maggio 1961, Calcutta (India) - Gemelli. Regista del film Immortals 3D.

mercoledì 16 novembre 2011 - Approfondimenti

Cinque motivi per ricordare il videoclip di "Losing My Religion" dei Rem, del 1991. 1) Racconta, per così dire, una grande canzone, principale successo della band. 2) Michael Stipe ha i capelli. 3) Vinse il premio di MTV per il miglior video dell'anno. 4) Citava esplicitamente la pittura di Caravaggio ma anche i cherubini neri-biondi di Jean Paul Gaultier. 5) Rese celebre il regista indiano Tarsem Dhandwar Singh, in arte solo Tarsem. Che oggi ripresenta il suo caravaggesco immaginario nel nuovo film Immortals, girato in 2D ma distribuito (anche) in 3D per onorare le recenti regole del marketing sovrano. Dai Rem agli dei dell'Olimpo sono dunque passati vent'anni, durante i quali il cineasta ha costituito una propria factory, chiamando a sé tecnici di assoluto valore come il direttore della fotografia Brendan Galvin, lo scenografo Tom Foden e la costumista premio Oscar Eiko Ishioka, capaci di tradurre in un attimo quelli che sono i complessi e stratificati concept visuali dell'autore.

Immortals racconta con ampie licenze storiche e poetiche la vicenda avventurosa di Teseo (Henry Cavill), che sconfisse il minotauro nell'era del Mito. Ci sono un cattivo trucido e spietato come nei fumetti, Iperione, interpretato con truculenza da Mickey Rourke; una sibilla destinata a perdere la preveggenza insieme alla verginità (Freida Pinto) e divinità come Zeus, Atena o Poseidone che contravvenendo all'iconografia classica sono giovani e prestanti («S'io fossi un Dio, dice il regista, mi vorrei mostrare sempre ragazzo!»). Nella raffigurazione di Tarsem, però, tutti vengono ridotti al ruolo di figurine senza spessore al servizio di uno scenario sontuoso. Protagonisti e comprimari sono variabili estetiche che combattono e digrignano i denti in una specie di vuoto pneumatico narrativo. A contare, al pari di un sogno, sono le scudisciate visionarie, le presenze d'impatto come i titani racchiusi in gabbie cristalline o i guerrieri da snuff movie che circondano Iperione nella sua reggia-set porno. Non vi sono dubbi che il cinema di Tarsem sia seducente, ma lui pensa al film come agli spot per i quali è diventato famoso, giocati tutti sul conflitto ambiguo tra entità non omologate (l'uomo efebico e la donna virile di uno dei "Red Passion Campari", con i ruoli capovolti) e la saturazione estrema. Cenobiti alla Hellraiser incontrano algide fanciulle e divinità dalle sembianze levigate; eroi possenti ma quasi inespressivi vengono letteralmente impressi in danze statiche come quelle dei tableaux vivants.

Certo Immortals, nonostante gli accumuli di riferimenti (dalla pittura rinascimentale al neoclassico, in un calderone postmoderno), pare più limpido e fruibile di quel che fu l'esordio di Tarsem, The Cell – La cellula (2000), con Jennifer Lopez, indigeribile pastiche di rimandi all'arte contemporanea (da Damien Hirst a Cindy Sherman) solo superficialmente elaborati dalla messinscena. E tra i due titoli, un'altra opera controversa e sdrucciolevole, The Fall (2006), una scheggia poco vista ovunque, perché mal distribuita, ma forse il manifesto del regista indiano. In un ospedale, uno stuntman gravemente infortunato racconta di eroi fantastici a una bambina con un braccio rotto. La prosa dell'uomo si mescola con l'immaginazione della bimba e la reciproca immobilità prende finalmente il volo, per un viaggio già mitico prima di incontrare l'Olimpo e la sua epica tradizione. Anche in questo caso, la creazione dei mondi di Tarsem, estremamente derivativa, può avere sullo spettatore effetti pesanti, perché all'ennesima ardita intersecazione di colori e personaggi bizzarri si vorrebbe un pizzico di austerità visiva, un minimo di rigore compositivo. Ma le buone maniere non piacciono al regista, che vogliamo infine ricordare per il nostro spot preferito, forse il più coatto di sempre. "Nike", i migliori campioni di calcio contro la Nazionale Demoni in una arena che pare il Colosseo, partita tesa e all'ultimo sangue, solo davanti alla porta difesa da Belzebù in persona si prepara Cantona, dal dischetto spara una bordata calibro 45 e manda tutti a casa con un sardonico: «Aurevoir». Sublime.

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