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The Tree of Life: Palma d'oro sacrosanta

Malick magnifico profeta: il paradiso c'è e ci andremo. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

Brad Pitt (William Bradley Pitt) (60 anni) 18 dicembre 1963, Shawnee (Oklahoma - USA) - Sagittario. Interpreta Il signor O'Brien nel film di Terrence Malick The Tree of Life.

lunedì 23 maggio 2011 - Focus

Farinotti chiede scusa alla giuria: la Palma è andata a un credente
La settimana scorsa, partendo dalla dichiarazione di ateismo di Nanni Moretti, ho scritto un pezzo dal titolo "Non sei ateo, niente Palma". L'idea nasceva da Cannes, dalla Francia, dalla sua cultura illuminista eccetera. Ebbene ho preso un abbaglio. Sono stato smentito. Non posso che fare ammenda verso il signor De Niro, gli altri membri della giuria, soprattutto verso Olivier Assayas, unico francese. Avevo attribuito un pregiudizio che non c'era. Come buon credente, sono contento di essermi sbagliato.

Sul serio
Terrence Malick è un autore che quando fa le cose le fa sul serio. Nel suo The Tree of Life decide di affrontare, fra gli altri argomenti, tre misteri: la vita, la morte e l'al di là. Niente di impegnativo dunque. Ho già scritto molte volte che il cinema, pur non avendo la potenza e la cultura per certi argomenti assoluti, tuttavia se li permette. E naturalmente, essendo "cinema", ci mette i suoi specifici, offre le sue opzioni. E può accadere che tali opzioni si avvicinino alla verità. E magari siano la verità. Sarebbe bello per tutti. Prima di tutto il linguaggio. C'è una giovane mamma sull'altalena, una farfalla che si posa sulla mano, i piccoli piedi del bambino che fanno i primi passi sull'erba, ci sono i fiori e i prati, soprattutto c'è l'acqua col suo sortilegio, lento o violento, dalla quale nasce tutto. Questo è Malick e questo è il suo cinema. Qualità alta, premio meritato, sacrosanto. Appunto.

Buono
Una didascalia all'inizio ricorda Giobbe, l'uomo buono e generoso, l'uomo senza peccato, che non merita il male, eppure Dio gli riversa addosso tutto il male. Ma Giobbe, paziente, lo affronta, cerca di capire, anche se sa che non ci riuscirà. Una voce, sempre all'inizio, ti dice che la grazia è magnifica, ti guida e ti protegge, e che la natura invece non ti è madre, devi difenderti da lei. Poi parte la mistica-estetica. Malick propone una luce/fiamma che forse è la grazia. Per venti minuti seguono immagini d'acqua, di esplosioni, di luci e di ombre, di colori dolci e violenti, di lava che scorre, di spazi dolci e di spazi impervi. L'acqua, l'inizio di tutto, prevale: larve che navigano nel profondo, invertebrati, meduse di troppi colori, pesci primitivi, alghe lente che tutto lambiscono. Il big bang che media con l'eden. Il tutto nella giurisdizione di cori di donne per il sentimento e l'amore, di uomini per il mistero e il dolore, e fraseggi di archi che sostengono senza soluzione di continuità i momenti che potrebbero valere di luce propria, senza facili sostegni o alleati.

Dubbi
Texas, anni Cinquanta. Si racconta di una famiglia. Un padre autoritario, "militaresco", che non ha dubbi. Avrebbe talento musicale, ma è andato perduto "per l'infinita attesa". Una madre dolce e debole e tre maschi nel mezzo di due educazioni opposte. Quando muore un figlio la famiglia sprofonda nel relativo, sproporzionato dolore. Gli umani si rivolgono al mistero, è un dialogo a una sola voce, il dolore è arrivato, la spiegazione non c'è, decifrare non si può. Può esserci la fiducia, la fede. Ma nessuno si rassegna, tutto non finisce qui, c'è un altro posto e bisogna crederci, capirlo e trovarlo. Ed è ciò che cerca di fare Malick, che ha scritto e diretto. Dunque il tema, la novella sono completamente suoi. Le mille metafore del film si aprono a tutte le letture. Il cinema dispensa se stesso con ogni sentimento. Gli amori e gli odi, gli abbracci e i pianti, le intenzioni e i pentimenti. Il maggiore, sempre sull'orlo dell'odio verso il padre prega che muoia, ma poi assiste al suo fallimento, piange e si redime. Poi c'è la scuola, gli amici, i giochi, il primo dolore vero per l'amico morto, insomma c'è quell'albero della vita che tutto comprende, vasto e magari accessibile, con dolore e fatica certo, e fiducia.

Inizio
Una delle più belle metafore di Malick è l'inizio, inizio con la i maiuscola. Una foresta profonda, ricca e primitiva, un eden un po' minaccioso. Qualcosa si muove, sembrava una roccia ma è un animale preistorico, alza la lunga testa, si guarda intorno, assume quella natura, ma non è affatto tranquillo, anzi sospetta. Muove passi guardinghi. Entra nell'acqua, ma sta sempre attento. Non sa cosa succederà. La natura è lì intorno e va affrontata. Per la grazia è troppo presto, non è ancora stata pensata. O dispensata. Alla fine, il figlio morto, madre e padre, tutti quanti, passano quella porta e si ritrovano insieme. Si abbracciano fra gente lenta che cammina nella dolce immensa pianura, sotto un sole forte come la vita. Malick sembra crederci profondamente, oltrepassando tutti i dubbi. Tanto da non scherzarci sopra neppure un secondo. Perché in tutto il film, non c'è un momento, neppure uno, neppure di rimbalzo, che strappi il millesimo di un sorriso. Tutto è rigorosamente serio.

Indicazione
A Malick dobbiamo dunque questa sicurezza e questa indicazione. Non sono mancati titoli mistici che cercavano soluzioni sovrumane, da Avatar a Inception, a certe velleitarie trilogie, ad antichi esercizi surrealisti, oppure a oniriche scale che andavano al paradiso o a mariti innamorati che recuperavano l'anima della moglie dall'altra parte. Ma qui l'autore sembra fare davvero sul serio. Sembra porsi come angelo e profeta. Insomma offre lo spunto e la speranza. Mi viene in mente un altro, sette secoli fa, che aveva dato le sue indicazioni, e anche lì non ci scappava neanche un sorriso. Ma quel tale dava, purtroppo, tre alternative. Malick è invece sicuro del paradiso. La natura, la vita ci hanno fatto espiare a sufficienza. Abbiamo già pagato. Certo, è bello pensarlo.
Diamo credito a Terrence Malick, così come glielo ha dato Cannes, col suo massimo premio. Un riconoscimento che ci riconduce all'assunto di partenza: sempre di cinema trattasi.

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