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I film dei 150 anni

Qual è l'Oscar tricolore del cinema italiano?
di Pino Farinotti

In foto una scena del film Ossessione di Luchino Visconti

venerdì 18 marzo 2011 - Focus

Lo si può definire in più modi, tutti corretti, il film dei 150 anni, appunto, oppure il film dell'Unità d'Italia, o il film di tutti, o il film del Novecento, e ancora. Certo è un'impresa, magari arbitraria, scegliere un titolo, così come è arbitraria qualsiasi discrezionalità. Non c'è nulla, figuriamoci in cinema, che metta tutti d'accordo, comunque i titoli che verranno fatti certo da molti saranno condivisi.
"150 anni" non significa film di genere, Risorgimento, Prima guerra, Resistenza, titoli a partire da Camicie rosse per finire col contemporaneo Noi credevamo. Certo questi saranno codici presenti, ma valgono contenuti con simboli e metafore decisivi. Soprattutto valgono opere d'arte generali.

Nomination
Parto dalle nomination, da una cinquina. Ordine cronologico: Ossessione (1942), Paisà (1946), Senso (1954), La dolce vita (1960), Il Gattopardo (1963). Contenuti italiani che si estendano altrove. Prevale Visconti, per stile, per estetica, per epica, per scrittura, e per capacità di comporre una chimica che salda culture, letterature e storie che "uniscono" tutto e tutti. Alla fine delle "motivazioni" verrà assegnato il podio più alto, l'Oscar tricolore. Dico anche che gli altri gradini del podio dovranno comunque, in altezza, equivalersi.
Di Paisà estraggo l'episodio del convento sull'Appennino emiliano, visitato, durante la risalita degli alleati, da un pastore protestante, un prete cattolico e un rabbino. I frati decidono di digiunare per portare sulla via della verità i due "eretici". Cinema altissimo, vicenda e simboli di grande unione.
Senso è una strepitosa mostra del Risorgimento. Un capolavoro figurativo sulla terza guerra di Indipendenza. Nel 1866 Venezia non è ancora annessa. Ed è lì che vive l'amore della contessa Serpieri e dell'ufficiale Malher. Contrasti di classe e patriottismo inseriti in una ricchezza di colori e di ambienti unici per il cinema italiano. Omaggio a Verdi: si immagina che la romanza "Di quella pira..." dal Trovatore, inneschi una sommossa dal teatro La Fenice. Dicevo "mostra". È nota la citazione del bacio di Hayez. E ancora: un bersagliere estrae e srotola una bandiera italiana (con lo stemma Savoia) e si lancia nella battaglia.
La dolce vita è il primo film italiano citato nel mondo. Così come Fellini è il primo autore. Diamo a quel film tutto ciò che si merita. Istantanea di una città e di una svolta nel sociale e nella cultura. Ma è comunque la rappresentazione di una decadenza. Non era quella la Roma che il Paese chiamava a modello.
Il Gattopardo ha tutto. Grande ispirazione e scrittura, Lampedusa, spettacolo e "location", interpreti. È un magnifico film sul Risorgimento. Ma l'inviato piemontese che cerca di convincere il nobile siciliano a diventare membro del futuro governo si sente dire "no grazie". Il principe di Salina risponde che in Sicilia niente cambierà mai. E se cambierà peggiorerà. E indica, per il parlamento, un nuovo ricco, un furbastro capace di capire e aderire al nuovo.

Po
Visconti girò Ossessione nel 1942. Un vagabondo, Gino, arriva in una locanda sul Po, diventa l'amante della moglie del proprietario, Giovanna. I due amanti si separano ma si ritrovano. Decidono di liberarsi del marito, simulando un incidente. Ma non si può vivere un amore su un delitto. Alla fine il destino ricompone tutto. In questa tragica vicenda d'amore Visconti crea, e unisce, culture diverse. Nel 1942 il Paese era in guerra al fianco della Germania. Il regista era al suo primo film, aveva "studiato" con Jean Renoir, il maestro massimo, e aveva letto un romanzo, un bestseller di allora, "Il postino suona sempre due volte", dell'americano James Cain. Dunque Ossessione figlio di quelle culture. Del resto Visconti, attraverso una storia americana rapportava se stesso con il francese Renoir. Era quello il comune denominatore di alleanza, non certo una guerra di Paesi e di popoli: Visconti nobile autentico, e Renoir nobile ad honorem con titolo acquisito sul campo da suo padre Auguste, dunque consolidato da due generazioni.
Valeva, per il regista milanese, il rapporto descritto proprio da Renoir, nella "Grande illusione", che la mia... discrezionalità considera il primo film del mondo, anche nella chiave di cui parliamo. Il rapporto era fra il capitano francese De Boëldieu (Pierre Fresnay) e il capitano tedesco von Rauffenstein (Erich von Stroheim). Il primo è prigioniero del secondo, ma la loro vita scorre ignorando quella situazione. Sono sempre alla pari perchè in realtà lo status che li unisce è quello della nobiltà, che è trasversale rispetto a tutto, anche rispetto a una guerra. Per Visconti lo status era la cultura, che i francesi e gli americani fossero nostri nemici in quel momento non significava proprio nulla.

Cultura
Visconti aveva previsto che pochi mesi dopo l'uscita del film, gli "status" si sarebbero tutti ricomposti e che finita la guerra ogni cultura se ne sarebbe andata in giro libera per il mondo, quasi tutto. Visconti ebbe comunque censure e opposizioni dal regime e dalla Chiesa. Dopo un paio di proiezioni a Milano, ancora occupata dai tedeschi, le autorità ordinarono la distruzione di tutte le copie. A Visconti non mancavano mezzi e conoscenze per salvarne almeno una. Quella che vediamo. Una persecuzione, chiamiamola così, che ulteriormente legittima questo film. Dove c'è proprio tutto, anche quel grande coraggio.
Naturalmente al di là dei significati di "unità" vale la strepitosa qualità del film, drammaturgica ed estetica. C'è l'ambigua trasgressione francese, anche nella scelta dei protagonisti Girotti e Calamai, e poi quella pianura del Po "attore" protagonista. Le strade bianche, un camioncino e una balilla là in fondo, le gare di canto da opera nelle osterie, e il racconto con pochi fronzoli dello stile letterario americano.
Per il 17 marzo 2011, l'Oscar tricolore, il film che tutto unisce, è Ossessione.

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