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Storia "poconormale" del cinema: puntata 86

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema.
di Pino Farinotti

Sequenze e modelli: dal libro al film

venerdì 15 ottobre 2010 - Focus

Sequenze e modelli: dal libro al film
Un promemoria necessario: "è di questi giorni una notizia che arriva dalla Russia. Una fondazione intitolata a Lev Tostoj, che ha sede a Jasnaja Poljana, non lontana da Mosca, dove visse il grande scrittore, in occasione della celebrazione della sua morte ha decretato che i Magnifici Sette della letteratura di ogni tempo sono: Dante, Shakespeare, Cervantes, Goethe, Hugo, Joyce, Tolstoj."

Nei numeri precedenti ho rilevato il rapporto del cinema coi Magnifici Sette. A commento della classifica stilata dai russi nella puntata ottanta ho scritto: "…Non c'è alcun dubbio che si tratti di giganti. Ed è benemerita la selezione, anzi, coraggiosa, perché non è davvero facile assumersi responsabilità così assolute. C'è sempre l'aspetto dei… dimenticati. Ma per affrontare una dialettica in quel senso non basterebbe lo spazio di una Treccani. Premetto che questa classifica è per me un richiamo irresistibile, parlo di cinema e di rapporto naturalmente. Poi un paio di indicazioni di getto, che credo legittime, voglio concedermele. Manca il Magnifico… più "magnifico", Omero. Può darsi che i compilatori lo abbiano ritenuto troppo lontano, una sorta di preistoria, di antropologia peraltro con contorni un po' nebulosi, come se Omero fosse un marchio più che un autore che si metteva a tavolino…"

Discrezionalità
Dunque estendo la classifica "Tolstoj", chiamiamola così, a qualche altro Magnifico che vada oltre la discrezionalità, che faccia testo, che non ammetta contraddittorio. Omero, certo non è in discussione. Il primo dato riguarda il rapporto dell'Iliade e dell'Odissea col cinema. I film hanno rappresentato i due poemi senza curarsi di Omero, hanno assunto la parte in superficie dell'iceberg. Chi sia Omero non ha alcuna importanza per il cinema, vale il suo prodotto. Ma in questa sede il poeta (forse) cieco assume identità e importanza. E per cominciare la parola "identità" è proprio il primo grande nodo. Chi era costui? Dove e quando è vissuto? È davvero esistito? Ha scritto entrambe le opere? Non sono quesiti da poco. Un giorno uno scrittore, o uno sceneggiatore, o un produttore, deciderà di raccontare quella storia, andrà a spulciare le fonti e offrirà la sua verità. E poco importa se sarà la Verità (V maiuscola), ormai siamo abituati alle indicazioni del cinema, alle sue invenzioni. Finiscono per diventare la verità, come quella del Codice da Vinci, o come quella di Tarantino che fa morire Hitler e i suoi accoliti in un teatro.

Epica
Ma voglio evocare una citazione che finisce con essere epica come lo è il poema. Nel film The Reader, il protagonista adolescente legge all'ex capò analfabeta l'incipit del primo canto dell'Odissea.
A suo tempo ho scritto che questi versi, inseriti nel racconto, letteralmente fermano il cinema. L'altissima letteratura prevale troppo dall'alto. Il film deve sostare in apnea in attesa che i versi finiscano, per poi riprendere il suo filo senza sortilegio.

Musa, quell'uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich'ebbe a terra
Gittate d'Ilïòn le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L'indol conobbe; che sovr'esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende,
E i suoi compagni a ricondur: ma indarno
Ricondur desïava i suoi compagni,
Ché delle colpe lor tutti periro.

Secoli
Di Omero si discute da almeno 27 secoli. Ma potrebbero essere 32. Un'idea è infatti quella della sua contemporaneità con la guerra di Troia, secolo XII avanti Cristo. Fra i molti tentativi di identità ci sarebbe l'ipotesi estrema della sua non esistenza: i poemi sarebbero la summa di storie di poeti diversi nel corso di molti decenni, di secoli addirittura. Tirate tutte le fila e le supposizioni nelle epoche si sarebbe arrivati a una possibile, logica verità: Omero è l'autore di entrambe le opere, una scritta in gioventù, una in vecchiaia. A suffragare la tesi ci sarebbero una coerenza e un'organicità che non possono appartenere a intelligenze diverse. Fu lo stesso Aristotele ad accreditare la tesi nella sua "Poetica". Anche se il grande ateniese aveva preso un abbaglio immane col suo sistema geocentrico, bloccando di fatto la scienza per una ventina di secoli, diamogli invece credito per i giudizi sulla poesia. E comunque, è bello pensare che abbia fatto tutto Omero, per mito e affezione. Ha rappresentato tutto, e tutto è semplicemente fermo nel tempo. Un'eterna antropologia: l'amore e il sesso, il tradimento, la guerra e la politica, l'amicizia, i duelli, l'onore e gli eroi. I temi dell'Iliade. Che valgono anche per il "sequel" Odissea, che però aggiunge quella che possiamo chiamare la fantasy (Circe coi suoi trucchi, oppure l'Ade). E naturalmente il grande codice del Ritorno, il Nostos. Insomma Omero aveva già capito tutto e tutto raccontato. E in uno stile, lo dico, mai più eguagliato. Ci sta nei Sette, e come ci sta.

Completo
Le due opere di Omero sono un corpo completo, un racconto perfetto. Eppure solo nel negli anni cinquanta il cinema vi si accostò. Forse per timore reverenziale, per paura di lesa maestà. È un'ipotesi naturalmente, perché il cinema non si è mai preoccupato troppo di ledere le maestà letterarie. Ma l'Iliade e l'Odissea opere assolute non misurabili, facevano eccezione. È bello pensarlo. Fu il nostro Camerini che nel 1954 decise di battere il record di budget italiano, assunse per la scrittura autori come Brusati, De Concini, soprattutto Ben Hetch (Notorious) e Irving Shaw (I giovani leoni) e diresse Ulisse. Chiamò Kirk Douglas per il ruolo di protagonista, Silvana Mangano fece sia Circe che Penelope e Rossana Podestà Nausicaa. Il film, certo... ben scritto, funzionò magnificamente. Titolo da cinque stelle. L'anno dopo Robert Wise, per la Warner diresse Elena di Troia. Un "Bignami" dell'Iliade, che privilegiava l'amoroso Paride (era Jacques Sernas, allora "l'uomo più bello del mondo") e la bella Elena. Achille era solo un avventizio odioso. Rossana Podestà era Elena. E così la nostra attrice diventava primatista del mito greco, con due ruoli così importanti e felici.

Rai
Un'ottima edizione dell'Odissea la si deve alla Rai, per la regia di Franco Rossi. Era il 1968. In otto ore il poema fu correttamente dispiegato. Ulisse era Bekim Fehmiu, interprete legittimo anche se molto lontano dall'appeal di Douglas. La narrazione seguiva integralmente l'opera, con un'invenzione suggestiva: Giuseppe Ungaretti declamava i versi all'inizio di ogni puntata, ne usciva un rilancio evocativo e prezioso della poesia omerica.

L'era recente del cinema si appropria di Omero con Troy. L'ipertrofico racconto della guerra di Troia si concede molte licenze, persino troppe, cambiando a piacimento, magari con una morte alla quale Omero non aveva pensato, i destini dei protagonisti. È una rappresentazione dell'opera che doveva troppo al computer e agli effetti. Del tutto superflua, non lascia niente. E comunque la distanza fra la poesia del settimo secolo avanti Cristo e il cinema del ventesimo secolo (e 21°), rappresenta perfettamente la distanza fra le due qualità.

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