Dopo essersi dedicato in età giovanile alla scultura, cominciò ad interessarsi di cinema nel 1954, dirigendo vari pregevoli documentari, da solo, (San Miniato, luglio 1944, I cavatori di pietra) o con i fratelli Paolo e Vittorio Taviani (L'Italia non è un paese povero, opera di Joris Ivens), con i quali lavorò anche come aiuto-regista. Sempre con i Taviani, debuttò nel 1962 con un lungometraggio a soggetto, Un uomo da bruciare, al quale fece seguito, l'anno successivo, I fuorilegge del matrimonio. In questo stesso anno, il 1963, ritornò temporaneamente all'attività di documentarista; poi, nel 1968, separatosi dai Taviani, firmò I dannati della terra, un film di denuncia, in cui, prendendo spunto dalla crisi di un intellettuale, si analizzano i più drammatici problemi del Terzo Mondo. Il film, edito nel 1969, presenta numerosi spunti suggestivi e talora geniali, ma non è privo di qualche atteggiamento velleitario e superficiale, comune del resto anche al altri film di Orsini, come Figlio mio infinitamente caro, del 1984, in cui il regista affrontò il difficile problema della droga, con una partecipazione dolorosa, ma piuttosto emotiva che razionale.