A Serious Man

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Un film di Joel Coen, Ethan Coen. Con Michael Stuhlbarg, Richard Kind, Fred Melamed, Sari Lennick, Adam Arkin.
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Commedia, durata 105 min. - USA, Gran Bretagna, Francia 2009. - Medusa uscita venerdì 4 dicembre 2009. MYMONETRO A Serious Man * * * 1/2 - valutazione media: 3,98 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

I drammi di un uomo parco e inoffensivo. Valutazione 4 stelle su cinque

di GreatSteven


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lunedì 8 gennaio 2018

 A SERIOUS MAN (USA/UK/FR, 2009) di JOEL & ETHAN COEN. Con MICHAEL STUHLBARG, RICHARD KIND, AARON WOLF, FRED MELAMED, SARI LENNICK, JESSICA MCMANUS, AMY LANDECKER
Minneapolis, 1967. Larry Gopnik è un mite professore di fisica in una tranquilla università del Midwest. Non si può certo dire che la sua vita sia un paradiso: la moglie Judith decide di lasciarlo per Sy Ableman, uomo a giudizio di lei più concreto e affidabile del consorte, e lo spedisce a vivere in un motel dopo la morte per incidente stradale di Sy; il fratello Arthur, disoccupato e col vizio del gioco d’azzardo, gli fa sempre avere la polizia a gironzolare intorno a casa; i due figli (soprattutto Danny, con bar mitzvah in vista), alle prese coi problemi dell’adolescenza, gli rendono l’esistenza ancora più cavillosa; sul lavoro le cose non vanno meglio: Larry è bersagliato da lettere anonime e minacciose che rischiano di mettere a repentaglio una sua possibile promozione ed è ossessionato da uno studente sudcoreano che pretenderebbe voti migliori; a completare il quadro delle sfortune ci si mette un’avvenente e disinvolta vicina di casa che prende il sole nuda e fuma marijuana. 14° film dei Coen che ogni volta centrano il bersaglio e riescano a stupire reinventandosi storie dalla miracolosa originalità. È il primo caso in cui mettono a nudo la loro identità ebraica, potendosi permettere un prologo ambientato nell’800, piuttosto tetro, in uno shletl polacco, che nulla a che fare con la trama del film ma è soltanto un’introduzione al mondo islamico, tutto parlato in yiddish, dove figura il dybbuk, il fantasma del defunto che ricompare all’improvviso. Il protagonista descrive la parabola di un Giobbe laico: nessuna cosa gli va per il verso giusto, ma proprio perché lui non agisce per rimediare, o almeno non con la dovuta forza di volontà, lo si può ritenere un uomo che ristagna nell’accidia, nell’autocommiserazione, nella rassegnazione. I suoi problemi lo investono come un fulmine a ciel sereno e gli fanno perdere la dignità (professionale, coniugale, genitoriale), precipitandolo in un vortice del quale non riesce a trovare il bandolo della matassa. Il che lo rende uno dei perdenti più simpatici ed empatici della galleria dei due fratelli registi, che hanno saputo inventare un personaggio che non farebbe del male a una mosca, ma che si vede investito suo malgrado da una caterva di disgrazie pur non cercandole, o forse proprio per questo: ricerca una vita troppo tranquilla e invece i grattacapi affiorano a iosa. Ma ad un ripiego riesce ad arrivare: consulta tre rabbini, di cui l’ultimo non viene intrattenuto da lui, ma dal figlio Danny dopo il suo bar mitzvah e, siccome Danny ha la mania delle radioline con auricolari, ne riceve una dal rabbino Marshak che gli consiglia che, quando s’è persa ogni speranza, l’unica cosa che resta da fare è ascoltare i Jefferson Airplane nella loro versione di “Somebody to Love”. E probabilmente è proprio ciò di cui Larry ha bisogno: qualcuno da amare con trasporto e sincerità e che lo ricambi adorandolo con altrettanto affetto. Tutti gli interpreti della pellicola sono ebrei, compreso Stuhlbarg, teatrante celebre a New York ma molto meno al cinema. Attori da applauso: un protagonista già citato la cui fede viene di continuo messa alla prova con la tenacia che solo un destino beffardo può avere; un R. Kind che fa piangendo e contorcendosi il debole zio Arthur, oppresso dalla sua stessa inettitudine; un ottimo F. Melamed che veste i panni di Sy con garbo ed eleganza (eccettuati due incubi da dimenticare di Larry!); una S. Lennick che s’impegna a fare la moglie delusa e maldisposta che comunque chiede al marito un divorzio rituale per potersi risposare nella fede con Sy; i giovani A. Wolff e J. McManus fanno con piglio divertito e amarezza adolescenziale i figli di Larry (la figlia gli ruba i soldi dal portafoglio per farsi sottoporre a un intervento di rinoplastica); e infine una provocante A. Landecker assolve il ruolo Mrs. Samsky, la dirimpettaia, con travolgente autoironia. Un’idea geniale degli autori è quella di affidare ad ogni attore una fisionomia caratteristica, quasi caricaturale, enfatizzandola con frequenti primi piani, inquadrature sghembe o non totalmente a fuoco. La fede di Gopnik non gli fa però mai dubitare di essere un uomo serio, come si evince dal titolo, nonostante le traversie che sembrano scivolargli addosso non per come le elude, ma proprio per come se ne preoccupa. Il traballamento tra il beffardo e il nichilismo, come è stato osservato da alcuni critici ammiratori del cinema USA, richiama Crimini e misfatti di Woody Allen, e il paragone ci sta: in entrambi la mancanza di senso morale della vita porta a ridicolizzare le figure sacre o comunque importanti. Altro paragone con Allen, questa volta con Radio Days, è l’ambiente in cui i Coen sono cresciuti, e di cui in A Serious Man riportano pressoché tutto: adolescenza, topos famigliare, scolastico, religioso della comunità ebraica americana di Minneapolis che ha dato loro i natali e li ha visti crescere. Presentato in concorso a vari festival (Toronto e Roma soprattutto) e premiato con alcuni riconoscimenti minori dell’industria cinematografica d’oltreoceano.    

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