Roma città aperta

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Un film di Roberto Rossellini. Con Anna Magnani, Aldo Fabrizi, Maria Michi, Marcello Pagliero.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 98 min. - Italia 1945. - Cineteca di Bologna uscita lunedì 31 marzo 2014. MYMONETRO Roma città aperta * * * * - valutazione media: 4,46 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari. Acquista »
   
   
   

Le vicende dell''occupazione nazista a Roma. Valutazione 4 stelle su cinque

di Great Steven


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venerdì 20 agosto 2021

ROMA CITTà APERTA (IT, 1945) di ROBERTO ROSSELLINI. Con ALDO FABRIZI, ANNA MAGNANI, MARCELLO PAGLIERO, MARIA MICHI, CARLA ROVERE, FRANCESCO GRANDJACQUET, HARRY FEIST, GIOVANNA GALLETTI, VITO ANNICHIARICO, NANDO BRUNO ● Dopo l’armistizio di Cassibile, gli Alleati stanno già risalendo la penisola, ma non sono ancora giunti a Roma, dove i partigiani si sono già organizzati per combattere i nazifascisti. L’ingegnere comunista Giorgio Manfredi (il cui vero nome è Luigi Ferraris) è dei più importanti uomini della Resistenza, e per sfuggire alle quotidiane retate della Gestapo è aiutato dal tipografo Francesco, che è in procinto di sposare Pina, un’operaia vedova incinta di lui con un bambino, Marcello, nato dal precedente matrimonio. Manfredi è legato sentimentalmente a un’attrice di rivista, Marina, che convive con la sorella di Pina, Lauretta, ma l’ingegnere programma di troncare la relazione. Don Pietro Pellegrini, il parroco locale, si presta a fare da staffetta per i partigiani consegnando ambasce e documenti segreti, senza mai destare sospetti di fronte alle SS, e perciò è ammirato e rispettato da tutti gli abitanti del quartiere, compreso Manfredi. Una mattina i tedeschi effettuano un rastrellamento nel palazzo dove Manfredi si è nascosto: lui se la cava ancora, mentre Francesco viene arrestato; Pina, gridando la sua protesta e rincorrendo il camion dei perseguitati politici fatti prigionieri, viene abbattuta da una raffica di mitra davanti a don Pietro e al figlio. Francesco riesce a scappare e si ricongiunge a Manfredi, il quale opta per rifugiarsi in casa di Marina, ma la situazione si complica non appena i dissapori incrinano definitivamente il rapporto fra l’ingegnere e la giovane, tanto che quest’ultima, in cambio d’una dose di droga, lo denuncia alla Gestapo tramite Ingrid, agente in contatto col perfido maggiore Bergmann. Manfredi viene arrestato durante un incontro con don Pietro ed entrambi affrontano l’interrogatorio del maggiore, intenzionato ad avere informazioni sulla giunta partigiana comandata da Manfredi. L’ingegnere non tradisce i compagni e muore sotto le torture. All’alba del giorno dopo, alla periferia di Roma, don Pietro viene fucilato davanti ai ragazzini della sua parrocchia, fra cui c’è anche l’orfano Marcello.
È il primo film in ordine cronologico, ma soprattutto etico-morale, a rievocare l’occupazione tedesca Roma, e il giudizio che viene espresso sulla recente esperienza offre un quadro così sincero, equo e spiazzante che non può non toccare le corde emotive degli onesti. Una messinscena che rappresenta nel modo più efficace e corretto verso le vittime della catastrofe nazifascista in terra nostrana, la sofferenza immensa che diventa battaglia del quotidiano e riconquista dell’armonia mentre ci si difende contro coloro che negano al popolo di riappropriarsi di valori impermeabili al trapano della guerra. Lo squallore delle vie nelle ore del coprifuoco, gli arresti, le torture, i delitti e le bieche figure degli invasori malati di onnipotenza delirante e dei funzionari corrotti, tutto viene ricordato nell’assimilazione di una tragedia lasciata alle spalle da pochissimo tempo in modo da ottenere il plauso del pubblico, che già allora seppe riconoscerne, sia in Italia che all’estero, l’oggettività libera da retorica e la valutazione politica atta a non nascondersi dietro nessun preconcetto. Rossellini si propose, anche al di là dell’inaugurazione (o meglio, della consacrazione) del neorealismo, di raffigurare la capitale senza richiamarsi a valori particolari (forse quelli cattolici, ma l’ipotesi è dubbia), bensì ricorrendo alla trasgressione delle regole, delle consuetudini e di ogni luogo comune culturale. La scelta di due attori popolari come Magnani e Fabrizi fu indicativa dell’intenzione del regista di porre come sostegno alla trama drammatica una sottostruttura capace di alternare abilmente note comiche o addirittura grottesche alle scene più forti e lancinanti. Lei si mostrò intelligentissima nella sua verace amabilità di popolana romanesca; lui ebbe molto di più che un ruolo di raccordo al di sopra delle parti nei rapporti fra i personaggi, in quanto interpretare un sacerdote nel mezzo di una guerra implica una notevole volontà decisionale. E come dimenticare il coraggiosissimo e integerrimo Manfredi di M. Pagliero (doppiato da Lauro Gazzolo), capo partigiano dall’irriducibile senso del dovere fra i più rispettabili che il cinema italiano abbia mai conosciuto? Grand Prix al Festival di Cannes 1946. Due Nastri d’Argento (film, migliore attrice non protagonista ad A. Magnani) e una candidatura all’Oscar per la sceneggiatura originale. Titolo inglese: Open City.   

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