Titolo internazionale | So Help Me God |
Anno | 2017 |
Genere | Documentario |
Produzione | Francia, Belgio |
Durata | 100 minuti |
Regia di | Yves Hinant, Jean Libon |
Attori | Anne Gruwez, David Derumier, Serge Graide, Marc Slavic, Eddy Wilmet . |
MYmonetro | 3,08 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 29 gennaio 2019
Storia di una giudice belga molto anticonformista; l'occasione per ascoltare le storie più incredibili di assassini senza scrupoli. Ha vinto un premio ai Cesar,
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CONSIGLIATO SÌ
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Anne Gruwez è un giudice istruttore che vive e lavora in Belgio. Deve affrontare un caso di duplice omicidio che la costringe a prelevare il dna di alcuni sospettati, compreso un morto, ma nel corso di questo lungo accertamento, che forse troverà la sua soluzione negli USA, da dietro la scrivania istruisce molti altri - e più semplici - procedimenti penali, interrogando un vasto campionario di umanità: un giovane alle prese con il suo ennesimo furto, un ragazzo siriano che intende tornare nel suo paese, un uomo che molesta una ragazza, una prostituta esperta in BDSM, un ragazzo turco che si crede in diritto di controllare la sua fidanzata, una giovane madre rea confessa di aver ucciso il proprio bimbo perché convinta che fosse Satana.
L'approccio del giudice sarà quasi sempre "controcorrente".
Una donna che tiene in casa (libero) un topolino bianco con cui gioca come fosse il suo cane; che dice a un mendicante - dopo avergli dato dei soldi - "la smetta di tremare", senza essere certa che stia fingendo; che s'arrabbia contro un automobilista lento - lei, proprio lei che guida ancora una 2CV - per poi commentare, dopo averlo visto, "è una donna"; ecco, una persona così poco ordinaria non può stupire se, nei panni di giudice istruttore, offre ai suoi imputati piangenti dei fazzoletti di carta; non rimanda a giudizio un soggetto perché costerebbe troppo, e troppo inutilmente, alla comunità; rimette in libertà un uomo dopo averlo spaventato e dopo aver compreso il suo sincero pentimento; rimprovera duramente, da madre e da donna, un ragazzo la cui cultura di origine gli consente di maltrattare l'altro sesso; si reca al cimitero (con quelli della Scientifica, che devono dissotterrare un cadavere) indossando un top estivo e molto vacanziero.
È per merito di queste "originalità comportamentali", e della domanda che esse costantemente impongono ("ma è tutto vero o tutto finto?"), che solo poche volte, all'interno di questo documentario, si allenta la tensione, e la conseguente attenzione.
In effetti i suoi registi, Jean Libon e Yves Hinant, sono i creatori (e gli autori) di "Strip-Tease (ST)", un programma belga - poi ripreso da France 3 - che ebbe un grande successo negli anni '90 e la cui cifra stilistica fu appunto l'ostentazione di quella sottile linea (di ambiguità) fra ciò che sembra autentico e ciò che sembra rappresentato.
Il climax, in tal senso, è avvertibile proprio alla fine del film, durante l'ultimo interrogatorio: la ragazza che descrive al giudice istruttore e alla macchina da presa, cioè a noi, l'omicidio di suo figlio - prima strozzato, poi accoltellato - in maniera lucidamente documentaristica, quasi imporrebbe un rifiuto di realtà, nonostante qui, come in tutto il resto dell'opera, l'approccio fotografico sia così "pulito" da comunicare un'idea di verità.
Ni juge, ni soumise è un thriller o un documentario? Una tragicommedia tendente al grottesco o un film processuale? E lei, Anne Gruwez: una santa o una psicoterapeuta da scrivania? Una filantropa o una donna che ama solo essere protagonista, quasi fosse un'attrice? E quel suo sistema di giustizia, oltre la mera giustizia delle norme, è amore per l'umano, oppure un nuovo modo per essere cinici, oggi?
Il titolo del film, con il suo "né-né", rimanda a due sole categorie, quella del potere e quella della sottomissione, ma è evidente quanto l'esclusione si riferisca a ogni genere di categorizzazione del "visibile", un'esclusione che, secondo gli autori, risulterebbe più netta proprio in relazione all'atto del "giudicare" (il giusto e lo sbagliato, il vero e il falso): non a caso, prima di questo documentario, sempre Jean Libon e Yves Hinant ne avevano girato (nel 2008) un altro dal titolo Les arbitres, tutto teso a evidenziare la difficoltà di "decidere" anche all'interno di un campo da calcio, cioè in relazione a un semplice gioco.