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Ultimo aggiornamento sabato 9 settembre 2017
La storia di un ragazzo deciso a rischiare tutto per mettere in scena una grande trasformazione.
CONSIGLIATO SÌ
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Marvin Bijoux ha pochi anni e troppe afflizioni. Vessato dai compagni più grandi e umiliato dalla famiglia, il ragazzo insegue col teatro il sogno di riscatto sociale. Sostenuto dalla preside della sua scuola, che per prima ne intuisce la vocazione, Marvin è ammesso in un liceo prestigioso che gli permette di emanciparsi e di esercitare il suo talento drammatico. Maggiorenne sbarca a Parigi dove è deciso a cambiare nome e fare della sua infanzia disperata una pièce. L'amicizia con Abel, drammaturgo bohémien, e la relazione con Roland, amante ricco e generoso, lo iniziano infine al palcoscenico e alla vita.
Differenti nei toni, nella forma e nelle interpretazioni, gli ultimi film di Anne Fontaine (Two Mothers e Gemma Bovery) avevano in comune, e al cuore della vicenda, il piacere dei sensi. Il primo, adattamento del racconto di Doris Lessing ("Le nonne), esplorava la relazione simbiotica di due amiche, ciascuna amante del figlio dell'altra, il secondo, ispirato alla Bovary di Gustave Flaubert, pedinava gli amori extraconiugali di una giovane donna inglese trasferita in Normandia.
Al cuore di Marvin si trova invece la costruzione identitaria di un giovane uomo che soffre la propria differenza. Adattamento del romanzo semi autobiografico di Edouard Louis ("Pour en finir avec Eddy Bellegueule"), Marvin si avvolge attorno al dolore e al trauma di una violenza intima e affondata nella Piccardia rurale. Senza rinunciare alla sensualità del suo cinema, ma abbassandone la portata di un tono, Anne Fontaine riconferma l'approccio sensoriale dando voce a tante vite rimaste silenziose.
Nondimeno, il suo racconto di formazione soffre l'opposizione rigida e inconciliabile tra due esperienze sociali. L'universo borghese, moderno e rassicurante, da una parte, e il sottomondo plebeo, primitivo e minaccioso, dall'altra. Marvin non ha altra scelta allora che passare dalle tenebre alla luce. Non c'è superamento possibile a questa distinzione di classe se non la fuga. Lontana dall'essere sovversiva, questa success story riassume il dominio dei codici e dei simboli borghesi. Ma la frattura marcata dal film non è la realtà. Non esistono provinciali o rurali necessariamente razzisti e nemmeno benpensanti necessariamente tolleranti. Anne Fontaine sembra insomma ammirare il coraggio eccezionale del suo protagonista senza mai interrogarsi sulla natura stessa di quella eccezione. Ci prova con la boutade indignata di Vincent Macaigne o con l'orgoglio smarrito di Grégory Gadebois, imponente attore della Comédie-Française, ma sono bagliori che ricadono presto nell'accettazione silenziosa di una disuguaglianza persistente e crescente.
Lontano dal ribaltare l'ordine stabilito, Marvin è un percorso senza cadute che contribuisce a giustificare gli eredi di questo sistema. Marvin Bijoux, convertito il nome in Martin Clément, ha perdonato tutto e vive adesso come Tosca di "arte e di amore". Ma il perdono dei propri 'poveri' carnefici non esonera dalla collera contri i benestanti, contro chi accumula privilegi e contro chi precipita nella povertà gli uni per offrire abbondanza agli altri. Non serve a niente spogliarsi di tutto quello che c'è in sé di popolare ne tantomeno esibire nei palcoscenici borghesi la realtà delle violenze e degli odi. È necessario combattere le radici.
Evidentemente a disagio nella rappresentazione del basso ceto, Anne Fontaine non è una 'buona madre' per Marvin, figlio del proletariato passato all'altro côté della società. Applauso, happy end e tutti contenti. Anche i suoi genitori, braves bêtes in fondo gentili che "non leggeranno mai il suo libro" e "non lo vedranno mai a teatro".