Quella tra cinema e ipnosi, ma anche quella tra spettatore e film, è una filiazione che non fa altro che riportarci a mondi perduti. Al cinema.
di Roy Menarini
In una delle sequenze più amate di La La Land, i due protagonisti innamorati si trovavano a volteggiare verso le stelle, visitando un planetario. La scena è stata letta come una giusta concessione alla dimensione onirica del musical, un genere che necessita, e anzi vive, di un contatto assai composito con la realtà.
È un peccato che il Planetarium di Rebecca Zlotowski non sia stato trasformato in un musical, visto che probabilmente la sua propensione alla fantasticheria, alla vaghezza narrativa, e all'onirismo medianico ne avrebbe tratto giovamento.
In ogni caso, per quanto fallibile, il film ci riporta alla natura fantasmatica del cinema, più volte ribadita dai primi teorici e poi riaffermata in quella sorta di controstoria della settima arte che ha a che fare con l'ipnosi.
Definita dallo studioso Ruggero Eugeni una "relazione d'incanto", quella tra cinema e ipnosi, ma anche quella tra spettatore e film, in fondo è una filiazione che non fa altro che riportarci a mondi perduti. Non importa che si tratti di spiriti (magari evocati da falsi medium) o di memorie primordiali inattingibili, il trascendere è sempre un fatto di superamento del reale e di conoscenza dell'irrazionale o dell'inconscio. In questo posto pulsionale e quasi totalmente separato dalla nostra vita regolata secondo contratti sociali - il cinema appunto, specie nella sua realtà di sala con grande schermo - si dà cittadinanza a emozioni e sentimenti che spesso la pudicizia ci impedisce di accogliere nel quotidiano. Si pensi anche alle belle pagine del filosofo francese Roland Barthes sull'erotismo insito nella sala cinematografica, laddove il buio e l'abbandono del corpo ci lasciano galleggiare in uno stato tra il torpore e la disinibizione.
Planetarium insiste sul rapporto tra cinema e spiritismo, magia e prestidigitazione, tra pratica americana e fantasmi (anche della Storia) europei, mostrando anche la contraddizione suprema: usare la fotografia in movimento, e la capacità di riproduzione visiva del dispositivo, per imprimere su supporti chimici la materia nascosta della realtà fisica.
Fotografare i fantasmi, d'altra parte, è stata una vera e propria ossessione della modernità di inizio Novecento, e ancora oggi - nell'epoca dei media digitali - Youtube è pieno di filmati fake su spettri casalinghi e sedute di ipnosi che portano a galla personalità nascoste.
Il clima da baraccone, circo, seduta di massa e tournée di parapsicologia che evoca il film della Zlotowski è quello in cui il cinema, almeno in una fase abbastanza lunga che precede la sua istituzionalizzazione, si è trovato ad abitare. Una natura, questa, popolare e fanfarona al tempo stesso, che ne costituisce un suo aspetto irrinunciabile, in parte perduto dal moderno e dal contemporaneo. Non è un caso che il cinema abbia interessato così tanto la psicanalisi, forse una delle discipline più nemiche dello spiritismo (ma non dell'ipnosi), e che oggi attiri l'attenzione delle neuro-scienze attente al rapporto tra neuroni-specchio e grande schermo. Si tratta pur sempre di profondità invisibili a occhio nudo, di fantasmi mentali e psicologici da esaminare, di materia nascosta all'agire quotidiano.