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Eravamo tutti Beatles

Sono stati il complesso più popolare del Novecento. Hanno dettato stile e comportamento. Ron Howard racconta la storia della loro straordinaria ascesa.
di Pino Farinotti

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I Beatles, protagonisti del documentario di Ron Howard The Beatles - Eight Days a Week, al cinema dal 15 al 21 settembre.
domenica 25 settembre 2016 - Focus

John Lennon (Liverpool 1940) polistrumentista, cantante, autore. Paul Mc Cartney (Liverpool 1942), polistrumentista, voce, autore. George Harrison (Liverpool 1943) voce, polistrumentista. Ringo Starr, batterista, (Liverpool 1940). Sono i Beatles. Lennon è morto a New York nel 1980, Harrison a Los Angeles nel 2001.

Sono stati il complesso più popolare del Novecento. Hanno dettato stile e comportamento. Qualcuno scrisse che erano più famosi di Gesù.
Pino Farinotti

Qualcun altro rincarò "e anche più importanti". I Beatles sono un oceano di informazioni, storie, comunicazione. Un percorso infinito ultrapraticato. Primi anni sessanta: si formava, sotterranea, quella forza nucleare che sarebbe esplosa in superficie. Un promemoria preventivo. Da dove arrivavano i Beatles, e perché: gli anni cinquanta vivevano di un equilibrio est ovest che conosciamo. Valeva una normalizzazione, vigevano certi valori, se vogliamo chiamarli così, certe sicurezze che però non potevano rimanere statiche. Perché c'erano i giovani. Nasce da loro, in diverse parti del mondo, uno spirito innovativo poco disposto alla mediazione e al compromesso, e una reazione a uno status che non è più ritenuto... soddisfacente. La protesta, estesa dovunque, dall'Asia al Sudamerica, agli Usa, all'Europa d'occidente e d'oriente, rappresenta la reazione a quei modelli culturali e ai conseguenti progetti entro i quali le nuove generazioni non intendevano integrarsi.


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Howard è bravo, sa scegliere e selezionare. Privilegia l'essenziale.

Qualcuno, un americano, scrisse che quando i Beatles scuotevano la testa con frenesia, con quei capelli che sprizzavano sudore, era come un goal della squadra del cuore o come un'eiaculazione.
Pino Farinotti

Si assiste a brani inediti, soprattutto, grazie al restauro digitale, puoi entrare nell'intimo, in profondità: vedi il sudore che si forma, gli sguardi che si scambiano, cantando soprattutto John e Paul, i più dotati, gli inventori. Tutti erano amici veri, lo erano nel frastuono dei concerti, lo erano in studio a provare e riprovare fino alla soddisfazione, alla perfezione, e lo erano nei momenti normali. Era la loro possibilità di durata e di sopravvivenza. Durante il famoso concerto allo Shea Stadium di New York del 1965 (80mila persone), diedero il meglio, e se si deve scegliere un momento eroico ed esemplare è quello. Di tanto in tanto qualcuno tentava l'invasione di campo, braccato dalle guardie. Molte ragazze svennero, tutte sbarravano gli occhi. Una madre non aveva abbastanza fazzoletti per asciugare le lacrime e il sudore dei figli adolescenti. Portantini con barelle attraversavano di continuo l'inquadratura. Questo furore, questa velocità, questa applicazione, e poi i viaggi, e poi dover creare, evolversi, migliorare continuamente. E poi arginare gli assalti dei media, attenti a non dire niente di pericoloso, subito strumentalizzato, subito pronto per essere divulgato nei continenti: stress continuo e implacabile, la candela che bruciava veloce, dalle due parti. Lennon diceva: "Altri artisti, come Porter e Sinatra hanno dato tanto, in un lungo arco di tempo, noi abbiamo fatto tutto in pochissimi anni." Amavano Presley, e lo capivano. "Noi possiamo dividere lo stress in quattro, lui è solo, come potrà resistere."


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