Una lunga parabola partita dall'Africa, da Louis Armstrong a Cassius Clay, da Obama fino a Rafael Padilla, il primo clown nero protagonista del film Mister Chocolat. Dal 7 aprile al cinema.
di Pino Farinotti
Il tema è un grande tema: il destino di un "nero" che si estende a tutti. Dico subito che la mia idea non fa differenze. Un uomo si chiama Franco, l'altro Gianni, l'altro Alberto, uno è un commerciante , l'altro un medico, l'altro un insegnante. Le differenze sono queste, non il colore. Le polemiche recenti, durante gli "Oscar" sulla proporzione dei bianchi e dei neri nei film mi sono sembrate superflue, superate e stupide. Certo, per arrivare a questa non-differenza c'è voluto tanto tempo, ci sono volute sofferenze, ingiustizie infinite, e tutto ciò che sappiamo.
Rafael Padilla - Chocolat era un cubano arrivato a Parigi. Cominciò a lavorare in un circo come re-scimmione africano, poi divenne un clown geniale e riformatore, infine fu il primo "Otello vero non dipinto" del teatro francese.
La sua fu una vita di continua e dolorosa fatica di emancipazione. Nei primi anni del secolo scorso era uno degli artisti più popolari di Francia. La sua storia viene raccontata in Mister Chocolat, regista Roschdy Zem, protagonista Omar Sy, l'irresistibile "badante" di Quasi amici.
Chocolat è dunque un modello esemplare. Quando si scopre ambizioso c'è chi ha già capito tante cose, un nero che si definisce "sovversivo". Rafael viene messo in prigione con una scusa, non ha documenti. La sua colpa è quella di essersi fatto notare. E lì incontra il sovversivo che gli detta le regole:
"Il tuo successo è un insulto per tutti i bianchi. Un negro deve restare al suo posto, chinare il capo, un negro si addomestica... Con le loro belle favole ti faranno credere che siamo tutti uguali, ma non aspettarti niente da loro, dobbiamo difenderci con i pugni e con i denti e fargli la guerra, fino alla fine."
Chocolat è stato scoperto da Footit, un clown famoso ma in declino: capisce che potrà avere ancora successo che formerà una coppia col nero. Così accade. La formula è semplice: nel numero il bianco maltratta il nero, pedate, schiaffoni, capriole e tutto il resto. I due sono gli idoli di Parigi. Ma Chocolat ha altre ambizioni, perché si sente protagonista. Nell'evoluzione della "conquista" c'è sempre una fase di consapevolezza del talento o del momento in cui occorre oltrepassare un confine, sfondare un muro. Digressione: Sidney Poitier è l'ispettore Tibbs, in uno stato del profondo sud. Il potente del luogo lo schiaffeggia, Tibbs-Poitier gli restituisce lo schiaffo, più violento, in presenza di un poliziotto locale, Rod Steiger.
La storia recente è piena di eroi di colore. In tutti i campi. Ci sono stati i profeti dei diritti civili, d'Africa e d'America. La frase forse è un po' enfatica ma ci sta: gente che ha cambiato il mondo. Il concetto può essere espresso anche così: come loro, nessuno. Qualche nome di getto: un Louis Armstrong... inutile dilungarsi.
Jesse Owens è titolare di quella che viene definita la più grande performance atletica di sempre: quattro medaglie d'oro (corsa e salto) alle Olimpiadi di Berlino del 1936. E proprio davanti a Hitler, colui che aveva (fra)inteso così tragicamente le differenze di razza.
Il nero Carl Lewis ripeté l'impresa a Los Angeles, ai Giochi del 1984. E poi Usain Bolt... inutile dilungarsi. Mi viene da dire che il dio della velocità ... le differenze la ha fatte. Anche su Clay-Alì non servono promemoria. Potrei continuare a lungo: scrittori, artisti, politici, premi Nobel. E... gente.
Un "caso esemplare" fu Jack Johnson, texano, il primo pugile di colore, peso massimo, diventato campione del mondo. Tuttora è considerato fra i più grandi. Erano gli anni di Chocolat. La vicenda dell'americano non è così dissimile da quella del francese. Cambia il finale. Gli fecero intendere che il troppo successo offendeva i bianchi. Così accettò di stare alla regole. Sul ring di Havana finì, finse di finire, k.o. sotto i colpi del bianco Willard. Era il 1915. Da allora molto, anzi tutto è cambiato.
Un'altra storia francese. C'era una volta, ad Haiti, una schiava "africana". Arrivò in Francia e conobbe un generale di Napoleone. Divenne la nonna di Alexandre Dumas, l'inventore della letteratura moderna d'avventura. Roba come I tre moschettieri e Il conte di Montecristo.
La lunga parabola partita dall'Africa cala dunque per allinearsi al mondo delle non differenze. Sono partito da un semplice film per un racconto generale allargato. Non basterebbe una Treccani ma come sempre lo spazio costringe a sintesi non semplici. Credo che il senso sia emerso.
Uno studio complesso, che si deve ad Ancestry.com, un sito specializzato in ricerche genealogiche, racconta di tale John Punch, il primo uomo messo in stato di schiavitù in America. Un suo discendente nel 2009 è diventato l'uomo più potente del mondo. Una bella parabola per un afroamericano. Più di così...