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Cake e il trucco nel cinema

Il cinema in movimento di Roy Menarini.
di Roy Menarini

In foto una scena del film.
Jennifer Aniston (55 anni) 11 febbraio 1969, Sherman Oaks (California - USA) - Acquario. Interpreta Claire Simmons nel film di Daniel Barnz Cake.

lunedì 11 maggio 2015 - Approfondimenti

Tra le questioni meno indagate dai cinefili c'è il trucco. Lo intendiamo nell'accezione di make up o di decorazione del volto e del corpo, non (come una volta) nel significato di effetto speciale. Il trucco, che copre una vasta area tra la cosmetica e la trasformazione con materiali artificiali di un volto naturale, è ancora oggi un elemento imprescindibile del cinema, persino in un periodo di fortissima trasformazione tecnologica, di facile manipolazione della ripresa in sede post-produttiva, e di photoshop utilizzabile da tutti. Il volto umano sembra resistere ancora alle facili scorciatoie dell'infografica. Prova ne sia la difficoltà di invecchiare i protagonisti dei film, con effetti talvolta ridicoli - o, come dicono in America, "cheesy" - come nel caso più discusso degli anni recenti, J. Edgar di Clint Eastwood, dove DiCaprio anziano è apparso di falsità plateale. È più semplice ringiovanire, e persino Liam Neeson, con improbabile capello lungo e spennellature digitali, è credibile nei flashback di Run All Night - Una notte per sopravvivere (solo per limitarci a un film ancora in sala).

Nel caso di Cake, che usiamo per il nostro ragionamento, la funzione del trucco è ancora differente. Jennifer Aniston (sia pure erroneamente accreditata di sostenere qui la "prima parte seria" della sua carriera) aveva bisogno di un personaggio fisicamente credibile per poter esplorare le zone oscure della sofferenza psichica.
Con tutta evidenza, Cake è un film-veicolo, ovvero una di quelle pellicole dove l'attore è al centro di tutti i processi estetici, narrativi e artistici, e dove la regia e gli altri comparti creativi sono al servizio solo e solamente della star, chiamata alla grande performance - un po' come accaduto di recente anche a Still Alice con Julianne Moore. Le ferite di Claire sono più visibili di quelle di Alice, la cui mente sta svanendo ma il cui corpo rimane intatto. Colpita in volto e negli arti, Claire deambula a fatica, viaggia in automobile interamente distesa sulla schiena, trova difficoltà anche solo a giacere a letto e si vede continuamente rimandata l'immagine della sua sofferenza negli specchi e nello sguardo pietoso degli interlocutori. Jennifer Aniston, però, nelle interviste ha enfatizzato il contrario del trucco, ovvero la sua assenza. "Se avessi chiesto il make up sarei stata disonesta. Claire è una donna che ha rinunciato a vivere. Quando mi mettevano addosso le cicatrici posticce, le borse sotto gli occhi, quegli abiti dimessi, mi guardavo allo specchio e mi si spezzava il cuore".

Curioso, dunque, che nel contesto del massimo trucco (le cicatrici artificiali) ci si concentri sull'assenza di trucco. Ecco la differenza tra trasformazione del volto per esigenze narrative e trucco nell'accezione di benessere, decorazione di sé, ricerca della bellezza. Tuttavia, non bisogna essere ingenui: il trucco per imbruttirsi cercando una candidatura agli Oscar e quello per risultare attraenti e originali, funziona allo stesso modo. Solo le strategie divergono. Per non parlare del fatto che la neutralità del volto al cinema è pura chimera, e la stessa Aniston, con i suoi precedenti ricorsi al bisturi, ne è prova vivente.
Tipiche contraddizioni di quella cosa imprendibile e accecante che chiamiamo ancora cinema.

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