Titolo originale | Byeon-ho-in |
Anno | 2013 |
Genere | Drammatico |
Produzione | Corea del sud |
Durata | 127 minuti |
Regia di | Woo-seok Yang |
Attori | Yeong-ae Kim, Do Won Kwak, Oh Dal-soo, Song Kang-ho, Young-chang Song Siwan, Do-Yeon Yang, Choi Eun-seok, Hwang Geon, Han Gi-Joong, Yu Ha-bok, Lee Hyun-Jung, Jung Jae-min, Jeong-eun Lee, Kwang-Jin Jeon, Cha Kwang-soo, Jo Min-ki, Su-young Park, Jo Sun-mook, Sung-min Lee, Won-joong Jung, Jang Woo Jin, Cho Yoo-shin, Song Young-chang. |
MYmonetro | 3,00 su 1 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 15 aprile 2014
Un cinico avvocato specializzato in diritto tributario mette in discussione le sue idee quando incontra l'attivista Park Jin-Woo.
CONSIGLIATO SÌ
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Busan, 1978. Grazie al varo di una legge che consente agli avvocati di occuparsi di atti notarili sugli immobili, l'avvocato Song reinventa la propria professione, sino a diventare l'avvocato più ricco e famoso di Busan. Quando Woon-jin, il figlio di una vecchia amica, scompare nelle mani della polizia militare, Song decide di difenderlo in tribunale, finendo per scoprire una coscienza politica che non aveva mai compreso di possedere.
La parabola dell'uomo disimpegnato - che ignora le faccende politiche e bada solo al profitto e alla carriera, prima di trasformarsi in eroe engagé - non è certo materia nuova. Ma The Attorney non cerca particolari innovazioni e impiega poco tempo a chiarire il proprio ruolo: non si tratta di un'opera rivolta al cinefilo d'essai, ma di un solido e ben realizzato courtroom drama in cui l'onere della riuscita è sulle spalle di sceneggiatori e cast più che su quelle del regista Yang Woo-seok. Mattatore indiscusso Song Kang-ho, di nuovo alle prese con una prova sensazionale; tra i mille e più registri che lo caratterizzano, va ora aggiunto anche quello del cinema di impegno sociale, alla maniera dei Redford e Hoffman della New Hollywood dei Settanta. La costruzione del personaggio dell'avvocato Song in particolare conquista, in virtù di quell'attenzione ai dettagli che, nella prima parte - sorta di incarnazione del sogno americano che porta il protagonista dai topi in casa a potersi comprare l'appartamento che aveva contribuito a costruire - permette di comprendere tutte le ragioni per cui l'avvocato Song ignori, o semplicemente trascuri, ciò che sta avvenendo nel suo Paese. Una volta che lo spettatore ha conosciuto e amato Song per quello che è, e ne ha apprezzato il rigore di avvocato non laureato che non si vergogna di ridursi a venditore porta a porta in tempi di crisi, sa già che quando sceglierà di impegnarsi politicamente lo farà con la medesima dose di zelo, passione e determinazione. La sezione più strettamente legal e più debitrice di un'impostazione americaneggiante rallenta il ritmo di The Attorney e presta il fianco a (inevitabili?) momenti sopra le righe, ma l'impressione generale destinata a restare è quella di una cinematografia, quella sudcoreana, così matura da poter vantare la presenza di un prodotto medio che il cinema statunitense non conosce più. Il cinema dei Pakula e di Hal Ashby oggi trova eredi solo nelle serie Tv più ricercate o in Corea del Sud, è un fatto. Benché qualche passo avanti in termini di coraggio resti ancora da compiere. Il punto focale della denuncia del film di Yang resta infatti la costruzione di prove fittizie e la non appartenenza dei colpevoli a movimenti di ispirazione comunista, non il fatto che la tortura sia sbagliata in sé, anche se i colpevoli fossero effettivamente comunisti. Ma forse la realtà della Corea del Sud contemporanea, e il suo potere di condizionamento, non è ancora così distante come si potrebbe auspicare da quella illustrata in The Attorney.