Su un palcoscenico di Broadway Mike Tyson, grazie a uno script di sua moglie Kiki e con la regia (teatrale e documentaristica) di Spike Lee, racconta la propria (indiscutibile) versione della sua vita a un pubblico di fans in gran parte afroamericani.
Ci voleva un cineasta e uomo di spettacolo come Spike Lee per cogliere le potenzialità attoriali di un amico che l'opinione pubblica ha ritenuto per decenni solo una belva assetata di sangue e uno stupratore senza possibilità di recupero. È grazie a lui che l'ex campione dei pesi massimi, finito più volte in galera, si mette a nudo in un teatro davanti ad un pubblico amico ma anche a numerose telecamere che ne riprendono le espressioni in dettaglio.
Inizia a parlare a sipario chiuso e quasi imprigionato in una scena ad angolo ma si comprende subito che ha acquisito un'agilità di eloquio che fa da spia a un modo di essere che ha raggiunto un equilibrio interiore. Non risparmia nulla del proprio passato, a partire dalla madre che si prostituiva, da un padre naturale mai conosciuto e da una specie di padre che faceva il protettore della mamma. Non c'è però nessuna forma di auto commiserazione nel ritmo che la regia di Lee ha imposto a questo lungo monologo che ha il pregio di non annoiare mai e di non avere momenti di cedimento. Il pubblico in sala conosce bene la biografia del campione e in certi passaggi lo anticipa oppure ride e applaude perché ha trovato conferma a ciò che già sapeva.
Tyson ripercorre la propria vita e la carriera pugilistica con l'aiuto di numerose immagini fisse e di qualche raro spezzone filmato. Dimostra di possedere anche dei tempi comici notevoli e di avere trovato lo spirito giusto per trattare temi come la sua prima incarcerazione da ragazzino, l'accusa di stupro o il morso all'orecchio di Holyfield. Quando parla della morte dei propri cari (madre, sorella, figlia ancora bambina) lo fa con il desiderio di porre rimedio alle mancanze avute nei loro confronti e rivendicando la maestosità dei monumenti funebri che ha fatto erigere in loro memoria.
Volgare quanto basta per ricostruire ambienti e situazioni vissute ma anche sufficientemente astuto per criticare e al contempo blandire gli atteggiamenti della comunità afroamericana a vari livelli (dai teppisti di strada al procuratore Don King a cui lancia accuse che, se non avessero una base di veridicità, sarebbero da querela) Tyson non si autoassolve ma mostra e dimostra che non bisogna mai arrendersi nel tentativo di recuperare una dignità perduta.
Non so se si può definire una trovata pubblicitaria o commerciale, ma questo film documentario è senza dubbio riuscito! Mike Tyson, personaggio controverso, che nella vita è stato un uomo pieno di eccessi, dalla droga, alla violenza, alle donne...Si racconta, lui, con autocritica, con ironia e con sincerità. Il raccontare la sua vita con gli aspetti precedentemente citati ne fa una persona migliore [...] Vai alla recensione »
Solo una maestro vero come Spike Lee poteva trasformare un burbero come il grande Mike Tyson in un formidabile attore a tratti commovente e spesso ironico ma abilissimo animale da palcoscenico che in un one-man-show ci racconta la vera storia della sua vita. Imperdibile! Voto: 10