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Nicolas Winding Refn, il danese tranquillo

Miglior regia a Cannes, l’autore di Drive racconta ideali e progetti.
di Gabriele Niola

In foto il regista danese Nicolas Winding Refn sul set del film Drive, per cui ha vinto allo scorso festival di Cannes il Premio per la miglior regia.
Nicolas Winding Refn (53 anni) 29 settembre 1970, Copenhagen (Danimarca) - Bilancia. Regista del film Drive.

martedì 27 settembre 2011 - Incontri

Dirige film che sembrano scritti da Scorsese con la passione postmoderna per il crimine di un Tarantino ma raffreddando tutto come farebbe Aki Kaurismaki. Così, dall'incontro tra la mitologia statunitense e il cinema europeo nascono gli inclassificabili, ma bellissimi, film di Nicolas Winding Refn, di cui l’ultimo, Drive (per il quale ha vinto il premio come Miglior Regia all’ultimo festival di Cannes), sarà nelle sale italiane dal 30 settembre.
Ma se Scorsese ha avuto un burrascoso passato di droghe, Tarantino è un fiume di parole ed eccessi e Kaurismaki si vanta di non aver diretto mai nemmeno una scena da sobrio, Refn è l'esatto contrario. Leggendo quel che si trova in rete dovrebbe essere daltonico, un po' dislessico, astemio e privo della patente di guida, se gli si chiede conferma di tutto questo lui aggiunge fiero: "Si, in più non mi drogo e sono stato con una sola donna in vita mia!".
Impossibile non far notare a Refn il contrasto tra la sua apparenza e i suoi film, tra il suo modo di presentarsi, la sua sobrietà e il suo cinema di eccessi e violenza.

Non che sia una novità tra i registi ma cosa spinge una persona lontana da certi ambiti ad indagarli in tutti i suoi film?
Mi ritengo un fetish filmmaker, faccio film su quello che vorrei vedere e non so perchè vorrei vedere queste cose. Approccio la violenza e il crimine in materia feticista, così mi riesce più facile, non saprei farlo altrimenti.

Ma oltre alla forza e alla violenza, una caratteristica determinante di molti suoi protagonisti è che sono spesso ingenui se non proprio scemi
Quando il pubblico vede un film e una storia sullo schermo la forza fisica di un personaggio è una cosa che viene ammirata mentre le sue debolezze ci fanno identificare in lui. Quindi questo doppio movimento nei miei personaggi è una strategia per scatenare ammirazione ed identificazione. A dirla tutta non so spiegare come mai i miei film finiscano sempre per essere violenti, forse perchè l’arte in sè è un atto violento, ti penetra ed è simile alla violenza fisica. La verità forse è che la violenza della guerra distrugge, quella dell'arte ispira.

Negli ultimi 30 anni tutto quel che è uscito dalla Danimarca è stato bollato come Dogma o comunque influenzato dall’esplosione di Lars Von Trier, anche i suoi primi film esteticamente sembravano girare da quelle parti. Poi però ha compiuto una sterzata netta.
Faccio film da prima che fosse steso il Dogma95 e comunque giravo tutto con camera a mano. Non mi considero in alcun modo un figlio di Von Trier, anzi. Mio padre è stato il montatore di molti suoi film e mentre lui lavorava al montaggio di Le onde del destino, io nella stanza accanto montavo il mio primo film, Pusher. Mentre loro andavano in una direzione io andavo in un'altra.

Non è la prima volta che dà l'impressione di non voler essere per nulla accomunato a Von Trier.
Io di certo non sono un nazista.

I suoi film hanno un andamento molto anticonvenzionale, non sembrano scritti seguendo la convenzionale scansione drammaturgica
Questo accade perchè la mia ispirazione viene sempre dalla struttura della favola. È qualcosa a cui ho cominciato ad appassionarmi quando le ho rilette per mia figlia. Le favole sono racconti sempre metaforici e per questo iperreali, come il cinema che mi piace fare o vedere, cominciano da una situazione idilliaca per diventare progressivamente sempre più oscure e disperate e alla fine risolversi in un lieto fine che segna il trionfo dei valori positivi.
In più sono uno di quei registi che gira i film cronologicamente, dalla prima all’ultima scena, lo faccio perchè così non so mai cosa mi aspetti e posso cambiare in corsa. È come dipingere un quadro.

Anche Matteo Garrone, regista di Gomorra, procede così e lui viene dalla pittura.
Bellissimo Gomorra. Si vede che è girato cronologicamente!

Cosa c’è secondo lei che attira così tanto nelle storie di poliziotti e criminali, come mai il cinema è così concentrato nel raccontarle?
Essenzialmente nei film criminali il personaggio può morire o essere ucciso per davvero in ogni momento, il pubblico lo sa, e questa tensione che in altri generi è assente è l'essenza del dramma. Ad ogni modo io non sono un fan del cinema criminale in sè, perchè non lo trovo necessariamente interessante, io non faccio film sul crimine ma su persone che vivono in ambienti criminali.

Quest’ultima frase sembra la sinossi di un film di Scorsese
Certo! Per esempio Mean streets è stato fondamentale per me specie mentre giravo Pusher. Scorsese è uno di quei registi che per la mia generazione è ineludibile, non si può negarlo ma solo abbracciarlo, é puro cinema.

Adesso che è arrivato il successo dovrà probabilmente cambiare il suo modo di girare...
No, non cambierò il mio stile, il mio prossimo film sarà sempre da 3 milioni di dollari. I film non hanno a che vedere con i soldi ma con le idee e meno soldi hai più sei creativo. Non si dovrebbero mai fare film con molto budget, i soldi portano solo problemi.

Sarà una bella impresa tenere La fuga di Logan sotto i 3 milioni di dollari
Eh no, lì il budget sarà superiore ai 200 milioni ma non mi spaventa, alla fine si tratta sempre di creatività, non ho mai provato una produzione di questo tipo, magari va a finire che mi piace. Sostanzialmente l'ho accettato perchè la storia di quel film mi ha ossessionato fin da quando ero piccolo, in particolar modo quest'idea della società perfetta da cui la gente cerca di scappare è affacinante.

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