Advertisement
Horror Frames: The Frankenstein Syndrome, tra ieri e oggi

Un approccio originale al mostro ideato da Mary Shelley.
di Rudy Salvagnini

In foto una scena di The Frankenstein Syndrome di Sean Tretta.

mercoledì 13 luglio 2011 - News

Esiste un romanzo più influente nel mondo del cinema horror di Frankenstein" scritto nel 1818 dalla giovane Mary Shelley, allora moglie del poeta Percy Bysshe Shelley? Sì, forse c’è "Dracula" di Bram Stoker, che potrebbe contendergli questo titolo, ma più probabilmente può essere collocato sullo stesso livello. In ogni caso, il concetto del mostro creato dall’uomo - e del conseguente rapporto tra creatore e creatura - è uno di quelli che più hanno permeato e modellato l’orrore cinematografico. Dalla prima pionieristica versione muta del 1910, diretta da J. Searle Dawley e interpretata da Charles Ogle nel ruolo del mostro, a oggi sono stati prodotti centinaia di film in qualche misura tratti o ispirati dal romanzo della Shelley. I cicli più famosi sono due: il primo è quello della Universal che, a partire dal Frankenstein (1931) di James Whale, ha puntato sulla creatura, inizialmente interpretata magistralmente da Boris Karloff, che su quel personaggio ha saputo fondare una carriera luminosa e variegata, per nulla preoccupato d’essere tipizzato nell’horror; il secondo è quello della Hammer che, cominciando da La maschera di Frankenstein (1957) di Terence Fisher (uno dei registi più sottovalutati della storia del cinema), ha puntato invece sulla figura del creatore, dello scienziato, interpretato dal bravissimo Peter Cushing, anche lui in grado con quel personaggio di rivoluzionare la propria carriera e di iniziare un percorso di caratterizzazioni lucide e intense. Nessuno è stato in grado di migliorare il ritratto che Cushing ha dato del Barone Frankenstein (e, tanto per precisare, lo stesso si può dire per Van Helsing, la nemesi di Dracula). A parte questi due cicli, le variazioni sono state tantissime, dalle seriose trasposizioni televisive - come Frankenstein (2004) di Kevin Connor - alle sgangherate fusioni di generi come il western-horror Jesse James Meets Frankenstein’s Daughter (1966) di William Beaudine, alle prolisse versioni più presuntuose che filologiche come Frankenstein di Mary Shelley (1994) di Kenneth Branagh. Ma già da tempo chi vuole accostarsi al tema, visto che molto è già stato fatto, deve (o dovrebbe) farlo con qualche idea nuova, qualche spunto particolare, come ha fatto l’inquieto e sempre interessante Larry Fessenden con La sindrome di Frankenstein (1991).

Frankenstein ai giorni nostri
Curiosamente, il titolo italiano del film di Fessenden (che in originale si intitolava No Telling o anche The Frankenstein Complex) è analogo al titolo originale di un nuovo film, The Frankenstein Syndrome di Sean Tretta, che cerca appunto di aggiornare e modernizzare il tema proponendo una storia diversa. La dottoressa Elizabeth Barnes - che indossa una strana maschera ed è costretta sulla sedia a rotelle - è interrogata da due agenti dell’FBI sul progetto guidato dal dottor Walton e denominato Prome-theus: al gruppo di ricerca incaricato del progetto la dottoressa Barnes si era infatti associata due anni prima. Per le attività relative a quel progetto, Walton è accusato di traffico di organi e di studi illegali. La dottoressa Barnes racconta: chiamata da Walton, malato di cancro e alla ricerca di una cura, era stata introdotta dal collega Marcus Grone al resto del team di ricerca ed era stata avvisata che la loro attività era illecita, ma la dedizione alla scienza aveva avuto la meglio. Oltre al fatto di avere la mamma malata di cancro e di sperare pertanto che la cura di Walton facesse effetto. Lo scopo del progetto era la creazione di un siero rigenerante usando le cellule staminali ottenute in modo illegale e moralmente ben poco commendevole sfruttando povere donne vittime, per motivi vari, della situazione. Naturalmente, ben presto le cose avevano cominciato ad andare terribilmente male.

L'approccio originale al mostro
Le basi scientifiche sono ovviamente dubbie, ma questo in fondo accadeva anche nel romanzo di Mary Shelley e non ne minava per niente l’efficacia. Il concetto del siero rigenerante viene preso per buono, ai fini narrativi, e sotto questo aspetto ricorda, più che Frankenstein, lo spavaldo Re-Animator di Stuart Gordon, tratto molto liberamente da H.P. Lovecraft. Il dilemma sui confini tra scienza e morale - centrale nel romanzo e nel dibattito civile odierno - è preso piuttosto alla leggera, come un semplice artificio giustificativo dell’azione, ma non è certo da un piccolo film dell’orrore che dobbiamo aspettarci una consistente riflessione sull’argomento (Fessenden ne è stato capace, ma si tratta di eccezioni). Detto questo, il film prepara con sufficiente abilità la sua premessa, articolando storia e flashback in modo da suscitare interesse. Poi, quando le cose cominciano ad andare prevedibilmente male, il concatenarsi delle pessime conseguenze è sviluppato con una certa vivacità e il “mostro” rigenerato dal siero è fornito di movente per una sanguinaria vendetta e di torbidi legami tali da dare consistenza al personaggio. L’approccio al tema è quindi, se non del tutto innovativo, almeno fresco e parzialmente originale, anche nella parte relativa alla rieducazione alla vita del “mostro”, che riporta alla memoria, attualizzandoli, i vecchi film di Frankenstein. Nella fase centrale, le chiacchiere pseudo-scientifiche si moltiplicano rallentando l’azione, ma nel finale il film recupera concitazione anche attraverso svolte narrative fuori dalla routine. Splatter e gore non mancano, completando in modo adeguato la ricetta. Il finale filosofico-metafisico non è del tutto azzeccato, ma è certamente curioso. Non mancano alcune simpatiche citazioni, a partire dai cognomi dei due agenti dell’FBI (Wollstonecraft e Godwin, i cognomi dei genitori di Mary Shelley) per arrivare al nome della protagonista, Elizabeth, che richiama quello della fidanzata dell’originario Frankenstein.
Ed Lauter dà spessore e dignità al suo personaggio - in scena per pochi minuti - e del resto non sorprende, dato il curriculum e le qualità dell’attore. Il resto del cast è più ordinario, capitanato da Tiffany Shepis, accanita partecipante al cinema di genere (oltre 90 titoli in carriera, spesso horror), che qui rinuncia in toto alla componente sexy che ha fatto spesso la sua fortuna.

Gallery


{{PaginaCaricata()}}

Home | Cinema | Database | Film | Calendario Uscite | MYMOVIESLIVE | Dvd | Tv | Box Office | Prossimamente | Trailer | Colonne sonore | MYmovies Club
Copyright© 2000 - 2024 MYmovies.it® - Mo-Net s.r.l. Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione anche parziale. P.IVA: 05056400483
Licenza Siae n. 2792/I/2742 - Credits | Contatti | Normativa sulla privacy | Termini e condizioni d'uso | Accedi | Registrati