mary22
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domenica 2 agosto 2009
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la storia di roberto...
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Sono d'accordo con chi ha scritto nel forum:
1) che la realtà è molto peggiore di ciò che si vede nel film..
2) che riguarda più la manovalanza camorristica che il potere forte..
3) che le diciture finali del film forse andavano meglio all'inizio
4) che il dialetto napoletano addolcisce ciò che viene detto ( un dialetto che adoro...)
Due scene mi sono piaciute moltissimo in questo film, che mostra anche percorsi adolescenziali diversi che si dispiegano in questo ambiente.
Quella di Roberto( aiutante dello smaltitore di rifiuti tossici..qualcuno ha detto giustamente che questa figura sembra slegata dal potere forte camorristico)...il vedere e mostrare Venezia ( simbolo di mondi ALTRI) come offuscata e lontana.
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Sono d'accordo con chi ha scritto nel forum:
1) che la realtà è molto peggiore di ciò che si vede nel film..
2) che riguarda più la manovalanza camorristica che il potere forte..
3) che le diciture finali del film forse andavano meglio all'inizio
4) che il dialetto napoletano addolcisce ciò che viene detto ( un dialetto che adoro...)
Due scene mi sono piaciute moltissimo in questo film, che mostra anche percorsi adolescenziali diversi che si dispiegano in questo ambiente.
Quella di Roberto( aiutante dello smaltitore di rifiuti tossici..qualcuno ha detto giustamente che questa figura sembra slegata dal potere forte camorristico)...il vedere e mostrare Venezia ( simbolo di mondi ALTRI) come offuscata e lontana..quasi sognante.. allettante e stimolante di curiosità..quasi un risveglio della sua coscienza.
E quello in cui lo stesso Roberto ha pietà per una CONTADINA CONFUSA, che lavora una terra che non riconosce ma alla quale è legata col suo dono del cesto di pesche. BELLISSIMO questo episodio breve ma convulso nella sua commozione.
Venezia e la Contadina: due schegge che incidono su una coscienza....
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fedeandri
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sabato 18 luglio 2009
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bello
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dany/joker
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sabato 13 giugno 2009
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bellissimo
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Gli do 4 stelle, ma c'è una scena, quella in cui Gianfelice Imparato cammina sopra dei corpi morti e scappa via (la scena è ripresa dall'alto) che se ne merita 5: veramente un capolavoro del cinema italiano, nonostante il linguaggio in maggior parte zingaro/napoletano
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misspiggy89
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lunedì 13 aprile 2009
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soffocante, quasi claustrofobico
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La sensazione che si ha guardando "Gomorra" di Matteo Garrone è di una discesa agli inferi, non lenta e graduale ma immediata, infatti già nelle prime scene scorre il sangue. Ci si immerge in un mondo in cui potere e denaro sono gli unici valori da seguire, un mondo in cui l'aspirazione più grande di un ragazzino non è diventare un calciatore ma entrare nel Sistema. I protagonisti delle 5 storie che scorrono davanti ai nostri occhi sono soltanto le pedine di un gioco molto più grande di loro e che è destinato inevitabilmente a schiacciarli. Soltanto Roberto , alla fine del film, sceglie di tirarsene fuori prima che sia troppo tardi , prima di venire risucchiato completamente da questo vortice e oltrepassare il punto di non ritorno.
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La sensazione che si ha guardando "Gomorra" di Matteo Garrone è di una discesa agli inferi, non lenta e graduale ma immediata, infatti già nelle prime scene scorre il sangue. Ci si immerge in un mondo in cui potere e denaro sono gli unici valori da seguire, un mondo in cui l'aspirazione più grande di un ragazzino non è diventare un calciatore ma entrare nel Sistema. I protagonisti delle 5 storie che scorrono davanti ai nostri occhi sono soltanto le pedine di un gioco molto più grande di loro e che è destinato inevitabilmente a schiacciarli. Soltanto Roberto , alla fine del film, sceglie di tirarsene fuori prima che sia troppo tardi , prima di venire risucchiato completamente da questo vortice e oltrepassare il punto di non ritorno. E'lui l'unico, timido barlume di speranza che ci viene concesso; ma quando scorrono i titoli di coda ci si rende conto che il suo gesto coraggioso non basta a scrollarci di dosso quel senso di soffocamento e di oppressione che ci perseguita, sapendo che la mano invisibile della camorra controlla in un modo o nell'altro tutto ciò su cui posiamo gli occhi.
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[+] un film notevole, atto d'accusa contro la camorra.
(di valvestino)
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abo93
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domenica 5 aprile 2009
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lasciamo parlare le immagini
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Un film profondo, crudo, interessante e sicuramente importante. Ma non è una pellicola che può piacere a tutti: assume le caratteristiche del docamentario(come le personalità non molto delineate dei personaggi, l'assenza di una trama unica, articolata e centrale) e per questo non può far breccia nel cuore di tutti. Avrei preferito uno stile più classico, forse gia visto (con grandi attori, una colonna sonora importante) per colpire tutti e offrire veramente uno spunto alla riflessione non solo agli italiani. Per questi motivi non ha ricevuto i premi che si meritava; ma in findo non ne ha bisogno.
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mikelino
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giovedì 26 marzo 2009
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apriamo gli occhi
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credo che qui si stia completamente perdenendo il vero nocciolo della questione in quanto di fronte a questo film, o qualsiasi altra cosa lo riteniate( visto che per alcuni di voi può essere paragonato ad un filmato matoriale in grande stile) il dibbattito che emerge e quello della scelta del averlo realizzato in dialetto o del fatto che non possa essere considerato un vero e proprio film.
A me invece personalmente non interessa affatto di come sia o non sia esteticamente questo film, ma ne ritengo importantantissimo il messaggio contenuto in esso al quale a mio parere non si possa rimanere impassibili, rendiamoci conto che tutto cio che noi possiamo vedere in questo film, ogni singola scena, ogni personaggio non sono elementi inventati o campati alla aria ma fanno parte di una situazione realmente esistente nel napoletano e mi meraviglio nel sentire persone che dicono " a no a me non e piaciuto perchè le scene sono troppe crude e comuque e noiso per tutti quei sottotitoli" perche vuol dire che tutto quello che roberto saviano a cercato di dirci non e stato colto in quanto questo film vuole proprio farci intercalare nelle situazioni di crudele quotidianetà degli abitanti di paesi come casal di principe e quindi credo che se i personaggi non avessero parlato il dialettto il film sarebbe risultato meno d'impatto e molto meno realistico
Credo che il film Gomorra sia un grand esempio di racconto veristico che rende a pieno l'idea della situazione attuale del napoletano.
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credo che qui si stia completamente perdenendo il vero nocciolo della questione in quanto di fronte a questo film, o qualsiasi altra cosa lo riteniate( visto che per alcuni di voi può essere paragonato ad un filmato matoriale in grande stile) il dibbattito che emerge e quello della scelta del averlo realizzato in dialetto o del fatto che non possa essere considerato un vero e proprio film.
A me invece personalmente non interessa affatto di come sia o non sia esteticamente questo film, ma ne ritengo importantantissimo il messaggio contenuto in esso al quale a mio parere non si possa rimanere impassibili, rendiamoci conto che tutto cio che noi possiamo vedere in questo film, ogni singola scena, ogni personaggio non sono elementi inventati o campati alla aria ma fanno parte di una situazione realmente esistente nel napoletano e mi meraviglio nel sentire persone che dicono " a no a me non e piaciuto perchè le scene sono troppe crude e comuque e noiso per tutti quei sottotitoli" perche vuol dire che tutto quello che roberto saviano a cercato di dirci non e stato colto in quanto questo film vuole proprio farci intercalare nelle situazioni di crudele quotidianetà degli abitanti di paesi come casal di principe e quindi credo che se i personaggi non avessero parlato il dialettto il film sarebbe risultato meno d'impatto e molto meno realistico
Credo che il film Gomorra sia un grand esempio di racconto veristico che rende a pieno l'idea della situazione attuale del napoletano.
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franz
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lunedì 16 febbraio 2009
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sono allibito
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A mio avviso ogni cosa va valutata per ciò che è. E Gomorra non è un film che si propone per la raffinatezza estetica, mi pare ovvio. Però ha una forza incredibile nel mostrare, senza un minimo di retorica o compiacimento, una realtà altrettanto incredibile. Vedere gente con le ciambelle da mare e la panza uccidere ha una forza espressiva, una verità e una innovatività eccezionali.
Per questo sono allibito nel leggere di commenti che, di fronte allo spettacolo della realtà più agghiacciante, si perdono in valutazioni di carattere estetico; è agghiacciante e la dice lunga su questa nostra epoca che non è più capace di commuoversi e indignarsi per nulla di serio.
Gomorra è un film semplicemente straordinario se visto per ciò che è, e non come un film nel senso tradizionale del termine.
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(di rosanna_spina)
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meursault
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domenica 11 gennaio 2009
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da de sica a garrone
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Matteo Garrone è riuscito nell'impresa. Fatta incetta di premi europei, a 10 anni dalla Vita è bella di Benigni il suo film sbarca negli Usa alla conquista dell’Oscar. Dopo il terremoto mediatico scatenato dal libro di Saviano, non era facile riuscire a portare sul grande schermo un tema che balza da tempo agli onori della cronaca e di cui il cinema e la letteratura sembravano esser sazi. I rischi erano tanti. Scadere nella retorica; proporre una trasposizione cinematografica scarsamente attendibile; oppure creare un prodotto poco commerciale, destinato ad un pubblico da salotto. Invece no. Come raramente di questi tempi, la quarta prova del regista romano riesce a metter d'accordo tutti.
Ma come definire il film di Garrone? Documentario? Reportage? Neo-neorealista? Un po’ di tutto.
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Matteo Garrone è riuscito nell'impresa. Fatta incetta di premi europei, a 10 anni dalla Vita è bella di Benigni il suo film sbarca negli Usa alla conquista dell’Oscar. Dopo il terremoto mediatico scatenato dal libro di Saviano, non era facile riuscire a portare sul grande schermo un tema che balza da tempo agli onori della cronaca e di cui il cinema e la letteratura sembravano esser sazi. I rischi erano tanti. Scadere nella retorica; proporre una trasposizione cinematografica scarsamente attendibile; oppure creare un prodotto poco commerciale, destinato ad un pubblico da salotto. Invece no. Come raramente di questi tempi, la quarta prova del regista romano riesce a metter d'accordo tutti.
Ma come definire il film di Garrone? Documentario? Reportage? Neo-neorealista? Un po’ di tutto. Il prodotto che ne è esce è indubbiamente originale. Credo che la ragione del successo non risieda solo nel libro a cui si ispira o allo sfruttamento di un tema di facile presa come quello della camorra, ma nella linea di continuità che Garrone è riuscito ad instaurare con la migliore tradizione del cinema italiano. In particolare Francesco Rosi e i neorealisti.
Se i film di Rosi suonavano spesso come delle feroci requisitorie politiche, qui però di politico c’è ben poco. C’è – al contrario – la messa in discussione di un intero sistema umano e sociale che fuoriesce dai semplici confini del potere. Non c’è una linea netta di demarcazione che separa la classe politica dalla gente comune, i giusti dai cattivi. Le responsabilità del disastro materiale in cui versa la Campania ed il popolo napoletano si estendono a tutti gli strati della società, risparmiando giudizi assolutori e possibilità di riscatto. La trama di connivenze delle istituzioni e degli imprenditori con la camorra è così fitta da restituirci l’impressione disarmante di un unico grande sistema affaristico e criminale, che coinvolge tanto il politico quanto il semplice ragazzino di strada. Se le pellicole di Rosi sembravano aprire un’ area di dibattito che individuava dall’altra parte un interlocutore – la classe politica, il potere - sui cui scaricare le responsabilità morali, in Gomorra non c’è dialogo, ma solo un unico, assordante monologo.
Si può senz’altro riconoscere che la cifra stilistica di Garrone si richiama alla tradizione neorealista degli anni ’40, quella che ha reso così popolare il nostro cinema sdoganandolo oltreoceano. A De Sica, Rossellini e anche al primo Pasolini appartengono sicuramente la tecnica registica del pedinamento - che ritrae l’azione dal basso, in maniera febbrile, a tratti convulsa -, la scelta di creare una storia corale, l’uso del dialetto. Ma mentre le sceneggiature di Zavattini riuscivano a smorzare la tragedia con i colori della fiaba e la leggerezza della poesia(Sciuscià, Ladri di biciclette)attraverso cui passavano le istanze di redenzione di un’umanità disfatta dalla guerra, in Gomorra Garrone registra una realtà dalle tinte torbide, tragicamente ed inevitabilmente cupe, come già ci aveva abituato con la fotografia de L’Imbalsamatore. Come se la dimensione estetica venisse a coincidere con quella etica. Non ci sono eroi, né colori. Tutte le speranze si raccolgono intorno all’unico personaggio del film – Roberto, omonimo di Saviano – che ha il coraggio di voltare le spalle e andarsene, proiettandosi verso un futuro diverso. Ma non per questo meno oscuro.
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gabri78
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sabato 6 settembre 2008
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né carne né pesce
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Uscendo dal cinema, si ha la sensazione di non sapere bene cosa si è visto, se un film di denuncia, un documentario, una fiction. La pellicola ha un'impostazione diversa dal libro, nel quale Saviano racconta la camorra e i suoi protagonisti con i suoi miti e le loro leggende ma anche con la loro brutalità e perversione, seguendo il ciclo degli affari del "sistema" e delle merci, a partire dal porto di Napoli, seguendone la trasformazione, gli scambi, sino allo smaltimento - illecito - dei rifiuti. Il film preferisce estrapolare dal meccanismo del libro cinque storie e narrare le vicende dei personaggi, e questo è forse un limite, perché la prospettiva risulta falsata e non è possibile capire chiaramente la potenza e l'estensione dell'organizzazione camorristica, le migliaia di collusioni e ramificazioni, le entrature nel mondo politico, la capacità di fare affari e costruire impresa, a Napoli e Caserta così come nel nord Italia o all'estero, ridimensionandola quasi a problema locale.
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Uscendo dal cinema, si ha la sensazione di non sapere bene cosa si è visto, se un film di denuncia, un documentario, una fiction. La pellicola ha un'impostazione diversa dal libro, nel quale Saviano racconta la camorra e i suoi protagonisti con i suoi miti e le loro leggende ma anche con la loro brutalità e perversione, seguendo il ciclo degli affari del "sistema" e delle merci, a partire dal porto di Napoli, seguendone la trasformazione, gli scambi, sino allo smaltimento - illecito - dei rifiuti. Il film preferisce estrapolare dal meccanismo del libro cinque storie e narrare le vicende dei personaggi, e questo è forse un limite, perché la prospettiva risulta falsata e non è possibile capire chiaramente la potenza e l'estensione dell'organizzazione camorristica, le migliaia di collusioni e ramificazioni, le entrature nel mondo politico, la capacità di fare affari e costruire impresa, a Napoli e Caserta così come nel nord Italia o all'estero, ridimensionandola quasi a problema locale. A tratti si ha l'impressione di parlare di quattro sanguinari cialtroni di quartiere piuttosto che di una delle mafie più potenti e radicate al mondo. Alla luce di questo non credo che il film si possa ritenere un documentario. L'ambientazione prevalentemente nel territorio di Scampia, all'ombra delle orribili vele, elegge poi questo luogo a capitale della criminalità organizzata, oscurando e spostando l'attenzione da altre zone che si trovano più o meno nelle stesse condizioni, per cui la definizione di film di denuncia appare un po' stiracchiata. E neanche la definizione di fiction è appropriata, essenzialmente perché è evidente la volontà di attenersi alla realtà cercando di romanzarla il meno possibile ma di renderla più comprensibile a coloro che, vivendo realtà diverse, faticano a calarsi nei panni e capire le logiche sulle quali ruota l'universo della camorra e delle persone che ne fanno parte o vorrebbero entrare a farne parte.
Da elogiare sono sicuramente le scene girate all'interno delle vele, dove gli abitanti impersonano se stessi, riuscendo a trasmettere allo spettatore la voglia di emergere e di distinguersi che li pervade, di diventare qualcuno in una terra dimenticata da Dio e dagli uomini, soprattutto quelli dello Stato, latitante al punto da essere sostituito dalla camorra anche nell'erogazione delle pensioni e degli stipendi. Particolarmente azzeccata la figura di don Ciro, il cassiere del clan, che si aggira tra le passerelle e i cortili delle vele anonimo nel suo impermeabile grigio, senza prendere mai una posizione davanti alle proteste degli stipendiati dall'organizzazione, cavandosela con un impersonale e burocratico "riferirò", almeno fino al mese successivo. Ma camorrista è chi spara e fa i morti, chi ruba, chi spaccia, ma pure chi distribuisce stipendi e pensioni agli affiliati e la guerra tra i clan non può non essere cosa a lui estranea.
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[+] ne carne ne pesce...si è caviale!!!
(di zorro77)
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mikelangelo
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giovedì 21 agosto 2008
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la gomorra dei nostri giorni
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Il film si apre in maniera geniale: dei boss che si abbronzano facendo lampade e ascoltando musica napoletana. Poi gli spari rapidi, violenti, precisi, assoluti. Il sangue che schizza sulle lampade a raggi ultravioletti, ed è strage. Dopo il rumore assordante degli spari, il volume della canzone neomelodica aumenta, e subito leggiamo sullo schermo il titolo del film: GOMORRA. Dal bestseller di Saviano sono state tratte 5 storie di ordinaria vita all’interno del Sistema: dallo stakeholder che ricicla i rifiuti in maniera illecita, ai due ragazzini che sognano di diventare come Scarface nel film di Brian de Palma. Il regista Matteo Garrone (tra gli altri suoi titoli ricordiamo l’Imbalsamatore), capta al meglio le torbide e cupe atmosfere del libro, traducendole in eccellente linguaggio cinematografico.
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Il film si apre in maniera geniale: dei boss che si abbronzano facendo lampade e ascoltando musica napoletana. Poi gli spari rapidi, violenti, precisi, assoluti. Il sangue che schizza sulle lampade a raggi ultravioletti, ed è strage. Dopo il rumore assordante degli spari, il volume della canzone neomelodica aumenta, e subito leggiamo sullo schermo il titolo del film: GOMORRA. Dal bestseller di Saviano sono state tratte 5 storie di ordinaria vita all’interno del Sistema: dallo stakeholder che ricicla i rifiuti in maniera illecita, ai due ragazzini che sognano di diventare come Scarface nel film di Brian de Palma. Il regista Matteo Garrone (tra gli altri suoi titoli ricordiamo l’Imbalsamatore), capta al meglio le torbide e cupe atmosfere del libro, traducendole in eccellente linguaggio cinematografico. L’uso della camera a spalla è esasperato, infatti oltre il 70 percento della pellicola è girata in questo modo, quasi come fosse un documentario. Gli attori sono quasi tutti dei non professionisti, e gran parte del film è parlato in napoletano stretto con sottotitoli. La scelta dei sottotitoli e degli attori non professionisti potrebbe far tornare alla mente Pasolini, tuttavia è proprio l’originalità la chiave di volta di questa pellicola. Infatti questo è un film in catalogabile: non può essere un gangstar movie alla Martin Scorsese o alla Brian de Palma, né può essere un documentario sulla malavita organizzata. E’ un ibrido, una summa di generi che creano un altro genere, esattamente come il libro di Saviano; a metà tra romanzo e saggio. Un’altra cosa degna di nota è la violenza. Nel libro ci sono alcune scene di violenza davvero raccapriccianti, splatter, degne di Gordon Lewis. Nel film Garrone omette questa violenza assurda, e anche se la violenza c’è (ed è tanta), rimane asciutta e a volte fuoricampo. I primissimi piani sulle facce sporche e a volte cattive degli attori (alcuni in carcere ci sono stati davvero), rendono lo spettatore partecipe di quello che sta vedendo, tirandolo in ballo, facendolo vivere (anche solo per due ore) nelle viscere del Sistema.
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