Gomorra |
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Un film di Matteo Garrone.
Con Toni Servillo, Gianfelice Imparato, Maria Nazionale, Salvatore Cantalupo, Gigio Morra.
continua»
Drammatico,
durata 135 min.
- Italia 2008.
- 01 Distribution
uscita venerdì 16 maggio 2008.
MYMONETRO
Gomorra ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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Gomorra è cinema che diventa realtà o viceversa
di Massimo MedinaFeedback: 0 |
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mercoledì 4 giugno 2008 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Non c'è pregiudizio che tenga, non c'è cliché che possa reggere. Quello che mette in scena Garrone è di una verità a tal punto disarmante che a un certo punto ci si chiede se ciò che si sta guardando sia cinema o realtà nuda e cruda rinchiusa nei quattro angoli di uno schermo. E c'è la scelta precisa di escludere dal racconto tutto ciò che può rappresentare forma di riscatto o di redenzione per il popolo napoletano, fatta eccezione per l'unico personaggio (Roberto) che ha un conato di vomito nei confronti di ciò che vede e non riesce a farlo collimare con la sua vita onesta e piuttosto semplice. Tolto ciò, il resto è tutto ombra proprio come le ombre che Garrone infila in molte scene. C'è un popolo, quello napoletano, che sembra non avere più scampo perché ormai inghiottito dalla violenza della più terrificante e sanguinaria organizzazione criminale che l'uomo abbia conosciuto. Scegliere di narrare ciò significa compiere un atto di estremo coraggio e dolorosa sincerità. Le terre campane sono solo l'atto iniziale, il cancro principale dal quale poi le metastasi si allargano al resto del paese prima e del mondo a seguire. Ignorare le diramazioni della camorra significa fare un torto a Napoli e dintorni, significa imputare alle miserie di una certa fetta di popolazione tutta la colpa; ma non si può dimenticare di chi se ne è approfittato, di chi sullo squallore e la difficoltà di vivere ci ha marciato per edificare un potere enorme e sanguinario, a scapito di ogni disperato che pur di sfamare la famiglia scende a patti con il diavolo. L'ultima scena del film rappresenta insieme tutta l'idea e la irragionevole realtà del narrato: questi uomini che si proclamano dei, questi carnivori che si arrogano il diritto di scegliere della vita e della morte altrui, sono esseri normalissimi e privi di dignità; hanno pance enormi, calpestano i morti indossando squallidi sandali da mare, commettono crimini in canottiera e pantaloncino e maneggiano le armi come prolungamenti del proprio organo genitale. Fanno schifo perché sono veri. E non sembra di star guardando un film ma di star spiando le loro schifosissime vite. In questo Garrone ha stravinto e ha inglobato tutta la tradizione classica del cinema italiano per sancirne finalmente il superamento. Senza volontà di far omaggio a Napoli perché ciò che c'è di buono nella città partenopea lo sappiamo e solo gli stupidi e gli arrivisti lo ignorano; senza necessità di una complessa struttura narrativa ma solo con il dialetto e il sapore di marcio che ti rimane in bocca; senza voglia di proporre risposte ma solo di raccontare ciò che per troppo tempo è stato colpevolmente ignorato. Io, che in quelle terre ci sono nato e cresciuto ma ben lontano dalle vele di Scampia, sono spaventato da tutto questo. E sono spaventato dalla mancanza di alternative. Solo due categorie non possono non avere a cuore la sorte di Napoli: i coglioni e i camorristi. A volte coincidono.
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