Titolo originale | Yuli |
Anno | 2018 |
Genere | Biografico, Drammatico, |
Produzione | Spagna |
Durata | 109 minuti |
Regia di | Icíar Bollaín |
Attori | Carlos Acosta, Edlison Manuel Olbera Núñez, Keyvin Martinez, Santiago Alfonso Mario Elias, Héctor Noas, Betiza Bistmark Calderón, Laura De la Uz, Yerlín Pérez, Andrea Doimeadiós, Cesar Domínguez, Yailene Sierra, Carlos Enrique Almirante, Mario Guerra (II), Alexandra Prokhorova, Tamara Rojo. |
Uscita | giovedì 17 ottobre 2019 |
Distribuzione | ExitMedia |
MYmonetro | 2,94 su 5 recensioni tra critica, pubblico e dizionari. |
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Ultimo aggiornamento martedì 26 gennaio 2021
La storia di Carlos Acosta, in arte Yuli, vera e propria leggenda della danza. Il film ha ottenuto 5 candidature a Goya, In Italia al Box Office Yuli - Danza e libertà ha incassato 69,2 mila euro .
CONSIGLIATO SÌ
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La storia di Carlos Acosta, ballerino cubano ritiratosi dalle scene nel 2015 dopo una straordinaria carriera nelle più grandi compagnie del mondo, in particolare presso la Royal Ballet di Londra. Bambino indisciplinato che vive coi genitori e le due sorelle a L’Havana, Carlos viene costretto dal padre – che lo ha soprannominato Yuli in onore di una divinità afroamericana – a frequentare la rinomata Escuela Nacional Cubana de Ballet, assecondando così un naturale talento per la danza. Dopo anni di esercizi e scontri gli insegnanti, di difficoltà economiche e piccole umiliazioni, Carlos riuscirà a vincere un’importante concorso a Losanna, e da lì a conquistare il mondo, senza mai dimenticare le origini e il legame con la famiglia.
La regista basca Icíar Bollaín porta sullo schermo l’autobiografia di Acosta ‘No Way Home’ replicando nel film la struttura del testo di partenza: lo stesso Acosta è presente in scena come una sorta di narratore interno, commentando la sua vita con alcuni numeri di danza di cui è coreografo o direttamente protagonista.
Nella mitologia yoruba e nei culti afroamericani, Yuli è il figlio di Ogun, semidio della guerra e del fuoco: un combattente, un guerriero. Carlos Acosta, oggi ex ballerino alle soglie dei cinquant’anni, nel mondo della danza contemporanea è stato il primo “principal” di colore del Royal Ballet, un guerriero anche lui, un ballerino rivoluzionario.
Il paragone tra il protagonista e la figura mitologica a cui è stato accostato dal padre («Un uomo che mi ha amato alla sua maniera e secondo le sue regole», dice Acosta), è ribadito a ogni passaggio come la principale chiave di lettura del film: Yuli - Danza e libertà è la storia di una battaglia interiore, la conquista del mondo da parte di un eroe di strada.
Dai vicoli di L’Havana e dalla breakdance ballata sull’asfalto, Carlos approda alla danza classica e ai grandi palcoscenici; impara a controllare l’esuberanza caratteriale e traduce la potenza esplosiva del suo fisico in una compostezza di estrema eleganza. Il suo percorso conduce dal caos al controllo assoluto, dall’anarchia all’arte.
Costruito come un classico racconto di formazione, il film è giocato su un doppio binario espressivo: la ricostruzione della vita di un bambino (e poi di un ragazzo) mezzosangue cresciuto in una Cuba impoverita dall’embargo americano – figlio di genitori separati, legato alle due sorelle maggiori e da adulto costretto a soffrire da lontano per la schizofrenia di una delle due – e il lavoro del vero Acosta, che coreografa ed esegue con la sua compagnia una serie di numeri che funzionano da commento alle scene di finzione.
L’intento della regista non è però quello di mostrare la forza scenica della danza di Acosta (magari provando ad avvicinare l’operazione che Wenders ha fatto con l’opera di Pina Bausch), ma di prolungare le emozioni costruite ad arte dalla sceneggiatura: il conflitto tra padre e figlio, tra singolo e autorità, tra libertà e costrizione, e poi, nel corso della vita del protagonista, tra ambizione e amore, vicinanza e oblio.
Il Carlos Acosta raccontato dal film è un personaggio monolitico come il semi-dio a cui s’ispira. Nella parabola narrativa tracciata, la sua debolezza è la sua forza, la sua energia alimenta la sua grazia. Lo stile senza fronzoli di Bollaín, che gestisce abilmente toni e colori, momenti di tensione e di scoramento, di felicità e di dolore, serve semplicemente a illustrare un cammino di gloria.
Il risultato è un ritratto onesto, molto simile all’album di ritagli di giornale e di fotografie del figlio che il padre di Carlos ha custodito gelosamente per tutta la vita, guarda caso la prima cosa a vedersi nel film…
Il prodigioso destino del primo ballerino nero a interpretare il ruolo principale in un balletto classico, valeva bene un film. Ma alla success-story, Icíar Bollaín intreccia la storia difficile di una famiglia e di un Paese. Nato in un quartiere popolare dell'Avana, nel 1973, Carlos Acosta non ne voleva sapere della danza. "Non amo la danza...", "non voglio più danzare...", "non voglio andare in questa scuola...", "non ci andrò più...", Yuli ha dodici anni e carattere da vendere quando strilla a suo padre le sue verità. Nondimeno il balletto diventerà la sua vita e lui la stella luminosa del Royal Ballet, che lascerà nel 2015 decorato con l'Ordine dell'Impero Britannico.
Yuli, è il nome dell'infanzia, ha qualcosa in più, un dono, ma ha soprattutto un padre, camionista e figlio di schiavi neri, che ha quello della preveggenza, quello di riconoscere il talento del figlio e incoraggiarlo a volare sulle sue gambe lontano da Cuba. Ma nell'ascesa verso la gloria, Carlos è tormentato dalla nostalgia del suo passato e dal senso di colpa di chi è riuscito a lasciare l'isola, diversamente dai compagni di giochi. Questo dilemma, Yuli lo illustra con forza, coreografando i ricordi di Acosta che interpreta se stesso.
Negli anni Ottanta la famiglia del ballerino è numerosa e fatica a sbarcare il lunario. Papà Pedro ordina al figlio di danzare, nessuna negoziazione e un'audizione da superare tassativamente alla Scuola Nazionale del Balletto di Cuba. Yuli stupisce la commissione ma è insofferente alla sbarra e alla disciplina. Pliés, grand plié, schiena dritta, gambe tese, non fanno per lui che preferisce la libertà e il pallone coi compagni. Allora Yuli scappa e il padre lo riacchiappa, richiamandolo puntualmente al suo dovere. E da qui il film di Icíar Bollaín prende la sua forza narrativa. Perché la tensione della storia è tutta nel confronto tra padre e figlio, due personalità estreme e passionali.
Pedro usa il suo potere per dare un futuro al suo ragazzo, Yuli rifiuta a gran voce quel disegno, opponendo una fiera la volontà. Ma il suo talento è così evidente, che il genitore avrà la meglio, imbarcandolo diciottenne per Londra, che gli offre nel 1991 il suo primo contratto. A Yuli non resta che riconoscere il suo miracolo e imparare a gestirlo in equilibrio perfetto tra anima caraibica e tradizione occidentale. Il biopic affonda in quella (loro) relazione e ne fa la sua architettura. Al centro della 'costruzione' come del palco, c'è Carlos Acosta, testimone, attore e coreografo della propria storia come il padre lo è stato della sua vita.
Come Nureyev, come Baryšnikov e più vicino Polunin, Acosta nasce ballerino e accetta di pagarne il prezzo. Paul Laverty, sceneggiatore e partner storico di Ken Loach, cuce una partitura di parole intorno all'incompatibilità tra successo e felicità personale, appoggiandosi al corpo abbagliante del ballerino, che 'coreografa' se stesso nel capitolo contemporaneo. Laverty fa della sua parabola un romanzo di formazione e la cronaca dello sgretolamento del sogno socialista cubano, mescolando sviluppo artistico e analisi storica.
Se un merito ha Yuli - Danza e libertà è quello di una magnifica sequenza iniziale in cui L'Avana sembra essere letteralmente abbracciata dalla macchina da presa che fa brillare agli occhi la bellezza di quella città così malinconica e demodé, quasi arroccata in un romanticismo d'altra epoca. Il film è la biografia del ballerino cubano Carlos Acosta, tratto dal suo autobiografico No Way Home e nel [...] Vai alla recensione »
Malgrado il punitivo binomio del titolo italiano, quella dell'étoile Carlos Acosta è una storia che con la libertà non ha troppo a che fare: nato nella Cuba embargata e sanzionata dei primi anni 70, Yuli - così lo chiama il padre, in ossequio a una guerresca divinità africana - combatte non per ma contro la danza, alla quale è costretto da un talento congenito che per buona parte del tempo della sua [...] Vai alla recensione »
Ci sono due tipi di film che raccontano l'emancipazione dalla marginalità: il dramma sportivo e quello musicale. Gli ingredienti sono noti: difficoltà inaudite, volontà di ferro, incidenti vari e poi il successo. Storia vera del cubano Carlos Acosta, sceneggiata da Paul Laverty, il film li evoca tutti: ma ribaltandoli. Perché il piccolo Carlos, ragazzino povero che balla la breakdance nei vicoli dell'Avana, [...] Vai alla recensione »
Biopic di ballerini se ne contano un numero considerevole, ma spesso il risultato ha accarezzato l'agiografia nonostante il tentativo di smorzarne gli effetti mostrando tanto il genio quanto la sregolatezza. Yuli di Icíar Bollaín, nel narrare la parabola del performer cubano Carlos Acosta, riesce per sua fortuna ad allontanare lo spettro. Il film, presentato al 12° CinemaSpagna, disegna un ritratto [...] Vai alla recensione »