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Ultimo aggiornamento martedì 7 novembre 2017
La storia della vita e dell'opera di Robert Mapplethorpe: una visione complessiva dell'esistenza dell'artista attraverso interviste ai suoi più stretti collaboratori.
CONSIGLIATO SÌ
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Settembre 1989. Al congresso degli Stati Uniti vengono accusati di oscenità gli scatti di nudo maschile, già esposti con reazioni molto controverse, di Robert Mapplethorpe, morto di AIDS a marzo dello stesso anno. Oggi, con accesso totale all'archivio del fotografo, i due autori di Inside Gola profonda indagano le motivazioni alla base della sua opera.
Un artista demonizzato in vita, da umanizzare post mortem. Un uomo sospeso tra dimensione angelica e diabolica. Non ci sono sfumature in Mapplethorpe, documentario che sfrutta pienamente e dà una nuova vita all'opera di uno dei fotografi più importanti della seconda metà del Novecento. Merito della Fondazione, istituita in vita dallo stesso autore, per la ricerca sull'AIDS e la fotografia d'arte, che nel 2011 ha donato l'opera omnia al Getty Museum e al Lacma (Los Angeles County Museum of Art). Comprese le registrazioni audio e i (rari) appunti del fotografo, fonti preziosissime della sua ispirazione. Finché i registi si attengono al documento, Mapplethorpe è una visione molto istruttiva: seguiamo il ragazzo del Queens che si iscrive alla scuola d'arte di Brooklyn e la presa di consapevolezza graduale che avviene in lui, alla ricerca di una propria cifra espressiva. Prima l'arte figurativa, il collage, l'assemblaggio, sperimentati febbrilmente tra le insicurezze psicologiche ed economiche del periodo bohemien anche al leggendario Chelsea Hotel con la prima musa e coetanea Patti Smith, poi i primi esperimenti con la Polaroid fino alla sua riconoscibile Hasselblad. In transito continuo verso la scoperta di sé, vero fine e strumento della ricerca di un artista, anche tramite la frequentazione dei club sadomaso di New York. Per arrivare alla progressiva affermazione nel mondo delle gallerie, favorita da una rete di buone relazioni con il jet set internazionale. Senza mai interessarsi troppo alle questioni tecniche quanto piuttosto a sorpassare i limiti del rappresentabile. Supportato da molte voci - celebrità, giornalisti, conoscenti e amanti - si delinea il profilo di un artista ambizioso, disilluso, perfezionista, instancabile, egocentrico ma spietatamente onesto con sé e con gli altri.
Assodati i traguardi raggiunti da Mapplethorpe: aver portato la fotografia ad essere considerata forma d'arte, e di pari passo aver fatto avanzare la voce della comunità omosessuale, e quindi, più in generale, la libertà sessuale di tutto il Paese. Bailey e Barbato lo sottolineano a più riprese, dando il giusto spazio alle immagini, soprattutto quelle, meno esposte e censurate dalla politica conservatrice, del Portfolio X (tredici scatti di erotismo esplicito).
Un immaginario così potente - oltre le foto, ci sono anche home movies - è incorniciato da un girato non sempre all'altezza: con meccanismo ripetitivo ogni soggetto parlante è inizialmente inquadrato nell'obiettivo di una macchina fotografica che imita quella originale di Mapplethorpe, svariati inserti di fiction in bianco e nero accompagnano pedissequamente racconti e ricordi non visualizzati, pervasi da un commento sonoro più da special televisivo sensazionalistico che da documentario d'arte. Poi, come a voler ulteriormente legittimare il valore delle opere di Mapplethorpe, i registi insistono sul loro valore economico e sembrano compiacersi nel ritrarre oggi i protagonisti sopravvissuti di quell'ambiente affascinante e ricco di stile da cui lo stesso fotografo era sedotto. Se la quantità di opere che passano in rassegna vale senza dubbio la visione, va detto che un'assenza pesante grava sul documentario (anche se è presente, ovviamente, in video): Patti Smith. Autrice di parole bellissime sul suo primo compagno di vita, in apertura dell'accorato romanzo/diario "Just Kids" (Feltrinelli, 2010): «Su Robert è stato detto molto, e molto altro si dirà. I giovani faranno propria la sua andatura. Le giovani vestiranno di bianco e piangeranno i suoi riccioli. Verrà condannato e venerato. I suoi eccessi biasimati oppure romanzati. Alla fine, la verità potrà essere ritrovata soltanto nella sua opera, il corpo materiale dell'artista. Essa non svanirà. Gli uomini non possono giudicarla. Poiché l'arte canta a Dio, e a lui appartiene in ultima istanza». Stesso vademecum per lo spettatore, quello suggerito dal sottotitolo americano: look at the pictures, guardate le immagini.
L'intero documentario si regge sulla potenza della vita di Robert Mapplethorpe, ma di per se non vi aggiunge assolutamente nulla. Un classico documentario di intrattenimento, da guardare se si vuole approfondire la biografia del fotografo. Leggero e godibile, ma del tutto privo di originalità.