Masters of the Air

Nell'estate 1943, pochi mesi dopo essersi unito allo sforzo bellico alleato contro la Germania nazista, il centesimo gruppo bombardieri americano, in una missione congiunta con la RAF, subisce le prime perdite. Buck e Bucky, due piloti ammirati da tutti, sono tra i superstiti che tornano alla base nel Suffolk, in Inghilterra, ma l'inasprirsi del conflitto aereo contro la Luftwaffe è solo all'inizio e molti altri piloti sono destinati a cadere. Alcuni riescono a paracadutarsi in un territorio occupato e trovano il sostegno della Resistenza, altri invece non sono così fortunati e sono catturati e portati in campi di prigionia, oltre le linee nemiche. Nuovi piloti si avvicendano e Rosie dimostra di sapersela cavare anche nelle posizioni peggiori, mentre il navigatore Crosby, il solo rimasto a partecipare alle operazioni fin dall'inizio, è testimone del procedere della guerra fino al giorno dello sbarco in Normandia.

La cronaca delle battaglie aeree sul fronte Occidentale della Seconda Guerra Mondiale è al centro di Masters of the Air e segue il più tipico degli archi narrativi: un crescendo di difficoltà da superare fino alla vittoria.

Si tratta, come del resto già nei precedenti Band of Brothers del 2001 e The Pacific del 2010, di un racconto corale, anche questa volta prodotto da Steven Spielberg, Tom Hanks e Gary Goetzman, non più basato sugli scritti di Stephen E. Ambrose bensì su un omonimo libro di Donal L. Miller del 2007. La differenza però non è nella fonte, bensì in una maggior difficoltà di trovare l'empatia con questi personaggi, che inizialmente appaiono come americani un po' gradassi abituati alla vittoria, invincibili in un cielo dal quale precipitano morte e distruzione.

La serie ha le idee giuste nell'articolare la vicenda: rendendo sempre più pericolose e mortali le azioni aeree, ci mostra questi "top gun" mentre sono costretti a venire a patti con il fatalismo di chi potrebbe morire nella lotteria della contraerea. Ma se l'operazione di demitizzarli riesce con il pilota interpretato da Callum Turner, lo stesso non si può dire di quello che ha il volto di Austin Butler. Star troppo di peso per essere davvero ridotto alla coralità, Butler ha quel volto da tirabaci ammiccante persino durante la prigionia, con il suo labbro marcato e il ciuffo slanciato è difficile calarlo davvero tra i comuni mortali del conflitto.

C'è inoltre un'eccessiva autoindulgenza nella durata degli episodi, che spesso superano anche i sessanta minuti e non hanno né il ritmo, né personaggi abbastanza forti da sopportarlo. Lo spettacolo dovrebbe venire in soccorso, e in effetti alcune battaglie aree saranno piuttosto impressionanti, ma le cose si fanno davvero drammatiche solo sul finire della terza puntata, quindi dopo circa tre ore. Masters of the Air condivide con i suoi precursori di questa ideale trilogia sulla Greatest Generation americana l'obiettivo di una eccellenza tecnica, che spinga in avanti ciò che si può vedere in Tv.

Band of Brothers fu la prima miniserie a sfoggiare mezzi produttivi così cinematografici da non sfigurare al confronto con il film che l'aveva lanciata, Salvate il soldato Ryan. In modo forse meno sorprendente, The Pacific aveva comunque mantenuto quella tensione verso la Tv di qualità, inoltre aveva trattato il fronte Orientale, in un racconto quindi più disperato, viscerale e violento. Masters of the Air invece sembra tornare a toni più apologetici e se anche i piloti affrontano varie difficoltà, e sono pure messi di fronte ai danni delle loro bombe, non li vediamo mai davvero crollare fino al punto da darsi a comportamenti disumani. Il mito della Greatest Generation sembra dunque così più inscalfibile di quanto non apparisse nel 2010.

Anche la narrazione arretra parimenti: Band of Brothers presentava episodi quasi sempre diretti da un regista diverso, in un mosaico di punti di vista, che qui invece è sostituito da meno registi: solo cinque (ma due lavorano in coppia, quindi è come se fossero quattro) per nove puntate. Una scelta in linea con un racconto meno episodico, che solo a volte si concede puntate delimitate da situazioni specifiche - quasi sempre le migliori, perché più compatte a fronte di una serie invece spesso slabbrata nelle durate, come già rilevato. L'episodio in cui i piloti, sotto uno stress crescente, sono spediti in un Istituto dove ristorare la mente e lo spirito, apre a un interessante paradosso: come riprendersi dal senso di colpa del sopravvissuto, se si viene messi in una situazione bucolica ma che allo stesso tempo perpetua con la sua protezione il medesimo complesso? Un altro episodio introduce invece tardivamente i piloti afroamericani Tuskegee, che avrebbero meritato ben altro trattamento e sembrano così, con la loro apparizione alla penultima puntata, solo una casella da spuntare per tokenismo, in onore all'inclusività.

Nonostante la serie deluda chi si aspettava un titolo che rivaleggiasse con Band of Brothers e The Pacific, Masters of the Air, pur con le sue luci e ombre, rimane uno sforzo produttivo notevole e propone una prospettiva abbastanza inedita sul conflitto da non interessare solo gli appassionati di aeronautica militare. 