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Rassegna stampa di Ethan Coen

Ethan Coen è un regista, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, montatore, è nato il 21 settembre 1957 a Minneapolis, Minnesota (USA). Ethan Coen ha oggi 66 anni ed è del segno zodiacale Vergine.

PINO FARINOTTI
MYmovies.it

I fratelli Coen hanno ottenuto ormai gli accrediti per far parte dell'Accademia dei maestri o del "leaders directory club" se vogliamo chiamarlo così. Quel gruppo di autori che "devono essere visti". Esce un loro film ed è moda-obbligo-bene-opportuno-andare a vederlo. Diciamo la categoria degli Allen, Stone, Wenders, Scorsese, Almodóvar e (pochi) altri. Si tratta di autori "viventi". Vecchi maestri come Altman oppure Lelouch forse hanno solo diritto di cittadinanza onoraria. Joel e Ethan Coen sono consolidati ed emergenti. Mentre altri "maestri" hanno mostrato, nelle ultime stagioni segni di declino o addirittura difficoltà di identità, come Stone e Wenders, i Coen,si potrebbe dire: migliorano. Hanno molte frecce al loro arco, anzi, ai loro archi. La prima è la scrittura: è molto difficile che un regista sappia anche scrivere, scrivere bene davvero. Quasi mai possiede lo spessore e la grana dello scrittore. Joel non la possiede a "quel" punto, ma ci si avvicina. Di tutti i "cineasti" è il più dotato.

ANDREA CHIRICHELLI
MYmovies.it

Lavora in coppia con il fratello Joel. La grandezza dei Coen sta nel riuscire a passare da un genere all'altro, mantenendo sempre alto il livello qualitativo delle loro produzioni. Dagli inizi con i Blood simple (1984) e Crocevia della morte (1990), il noir di stampo chandleriano la fa da padrone, nonostante la vena ironica, unico vero comun denominitore delle loro opere, renda anche i gialli molto sui generis. Questo percorso avrà come punta d'arrivo Fargo (1996) inquietante e straniante parabola sulla corruzione dell'animo umano. Ambientato a cavallo tra gli anni Ottanta e Novanta il trittico Arizona junior (1987), Barton Fink (1991) e Mister Hula hoop (1994) conferma la vena creativa, astratta e surrealista dei fratelli culminata con l'Orso d'oro a Berlino del 1998 vinto con Il grande Lebowski (1998), magistralmente interpretato da un Jeff Bridges ispirato. Avvicinatisi persino al musical, Con Fratello, dove sei? (2000), che ha permesso lo sdoganamento di George Clooney come attore di un certo livello, i Coen, inevitabile parlarne al plurale, sono tornati alla grande al noir con L'uomo che non c'era (2001) che riconferma la grande capacità del duo di riunire ogni volta gli attori giusti per le parti giuste: ognuno qui è al "suo" posto, a partire dal camaleontico Thornton, laconico, lucido e silenzioso protagonista di una pellicola d'altri tempi. Le citazioni, altro marchio di fabbrica, si sprecano: tutto il noir classico è presente da Wilder a Lang: c'è la voce fuori campo, c'è il bianco e nero che accentua il mistero e permea il film di una atmosfera fumosa e drammatica: in mezzo ai grandi dubbi si muovono piccoli personaggi in cerca d'autore, barbieri, commercianti, avvocati, tutti avvolti, loro malgrado, in una spirale tragica da cui non emergeranno vincitori. Nonostante il ripensamento del sogno americano sia una costante della loro opera, i Coen, anche in patria, sono sempre stati osannati dai critici e hanno fatto incetta di premi: Barton Fink (1991) si è aggiudicato nel 1991 la Palma d'oro ed il premio per la migliore regia a Cannes, nel 1996 ancora a Cannes hanno vinto il premio per migliore regia per Fargo che l'anno dopo vincerà anche l'Oscar per la migliore sceneggiatura.

IRENE BIGNARDI
La Repubblica

Li avevamo tanto amati: perché avevano fatto un film noir imprevedibile e originale come Blood Simple - Sangue facile (nel 1984), una buffa commedia come Arizona Junior (1987), la loro personale rilettura di Hammett con Crocevia della morte (1990).
Poi è arrivato il grande successo critico e la messe di premi incassata a Cannes con Barton Fink - È successo a Hollywood (1991) in virtù di un presidente di giuria come Roman Polanski che ama esagerare: e continuo tutt’oggi a nutrire alcune perplessità su un film che mi sembra più brillante che interessante, più sorprendente che coerente, più uno sfoggio di abilità che un discorso concluso. Tanto che, nonostante tutto (citazionismo, Frank Capra, déjà vu, artificiosità) mi piace molto di più Mister Hula Hoop (1994), così coerente, rotondo, logico pur nel suo procedere per paradossi.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Anche nel loro ultimo film Burn after reading a prova di spia, appena uscito sui nostri schermi, i fratelli Joel e Ethan Coen confermano di essere una coppia eccezionale, capace di raccontare l'attualità, anche la più amara, con piglio irresistibile. gli spettatori ringraziano.
Sedere, petto, occhi, braccia. Sono le quattro operazioni estetiche cruciali a cui Frances McDormand, dirigente di una palestra elegante, vuol sottoporsi a ogni costo. Il personaggio condensa l'ossessione contemporanea della fitness in Burn after reading - A prova di spia, film scritto e diretto dai fratelli americani Joel e Ethan Coen: la più bella commedia dell'anno, divertente, perfetta, piena di star, che prende in giro altre mante del nostro tempo (soldi, sospetto, sesso ori line) ed è ridicola e tragica quanto il nostro mondo.
Per mettere insieme i soldi sufficienti a pagare le operazioni, Frances McDormand (è la moglie di Joel Coen) tenta disinvoltamente e invano col ricatto, cerca di vendere all'ambasciata russa quelli che crede piani segreti americani ma che sono in realtà memorie di un analista della CIA licenziato per alcolismo. Nella sua impresa la aiuta un giovane fisioterapista cretino e buono, Brad Pitt; è coinvolto l'amabile donnaiolo George Clooney, disprezzato dalla moglie medico Tilda Swinton; sono vitti mie gli alti burocrati della CIA, pericolosi perché detestano quei problemi atti a turbare il loro catatonico far niente. Avventure turbolente, risate, paradossi: la commedia è tanto comica quanto intelligente. Una nuova prova d'eccellenza dei registi (Ethan Coen, sceneggiatore e produttore, ha cominciato da poco - dal non molto riuscito Lady killers del 2005 - a firmare pure corre regista insieme con Joel) che hanno avuto un gran successo commerciale e ricevuto l'anno scorso quattro Oscar con il bellissimo Non è un paese per vecchi tratto dal romanzo di Cormac McCarthy (Einaudi).

LYNN HIRSCHBERG
The New York Times

Coen Brothers Country
Joel and Ethan Coen, who write, direct, produce and edit their films, do not agree that their latest movie, “No Country for Old Men,” adapted from the Cormac McCarthy novel, is a western. “When we think about westerns,” Joel explained, “we think about horses and six-guns, saloons and hitching posts.” Ethan, who was sitting next to his older brother on the couch in their cluttered college-dorm-like production office in downtown Manhattan, continued the thought. “ ‘No Country for Old Men’ is sort of a western,” he said, “and sort of not.”
At first glance, “No Country,” which is a kind of modern western with almost mythological themes set against the landscape of Texas, would seem to be a surprising fit with the Coens, who are known for dark, almost surrealistic comedies like the Oscar-winning “Fargo,” the Hollywood noir “Barton Fink” and their ode to stoner iconoclasm, “The Big Lebowski.” But “No Country,” like their other movies, allowed them to create unique characters and simultaneously twist a genre. From the start of their career, with the film “Blood Simple” in 1984, the Coens have consistently reinvented conventional types of cinema by tweaking and reimagining instantly recognizable archetypes. In “No Country,” Javier Bardem plays an unstoppable, coldblooded killer with an existential streak. Though he is not described this way in McCarthy’s book, the Coens pictured him with a Prince Valiant haircut and a fastidious style of dress — a potentially stock cinematic character transformed into a new western classic. “He’s like the man who fell to earth,” Joel suggested. “He’s the thing that doesn’t grow out of that landscape.”

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