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Rassegna stampa di David Lynch

David Lynch (David Keith Lynch) è un attore statunitense, regista, creatore, produttore, produttore esecutivo, scrittore, sceneggiatore, fotografo, montatore, autore effetti, è nato il 20 gennaio 1946 a Missoula, Montana (USA). David Lynch ha oggi 78 anni ed è del segno zodiacale Capricorno.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Certo non era un personaggio nuovo, David Lynch che saliva in palcoscenico nella serata conclusiva del Festival di Cannes 1990 per ricevere da Bernardo Bertolucci la Palma d'oro per Wild at Heart: film barbaro e kitsch, sessuale e umoristico, horror e sentimentale, ironico e delinquenziale, musicalmente clamoroso, girato benissimo, capace di esprimere con demagogia e sfruttare con furbizia gusti e vittimismo giovanili. A causa di quel film, molti critici pochi giorni prima avrebbero voluto vederlo in galera come cattivo maestro e spacciatore di pessimi esempi ai ragazzi; molti altri critici l'avevano applaudito con foga da “groupies” esaltati; e Isabella Rossellini stava li tra le quinte a vederlo premiare, a rimirarselo felice, innamorata. Certo s'erano visti di Lynch il commovente The Elephant Man, il malriuscito Dune, Blue Velvet morboso, romantico e irresistibile, ma in Wild at Heart pareva esprimersi un autore per qualche verso nuovo, come era rinnovato il suo aspetto fisico (capelli corti e qualche capello bianco, aria posata e come stranamente antiquata, abiti programmaticamente rispettosi della correttezza borghese o cerimoniale): un regista americano assolutamente contemporaneo.

LIETTA TORNABUONI
Specchio

David Lynch, 60 anni, il regista americano che Venezia premia col Leone d'Oro per una carriera più unica che rara, autore del nuovo film Inland Empire, misterioso, inquietante, oscuro, ha un'eleganza composta e una vita scomposta. Nell'ultimo tempo ha fatto almeno due cose inconsuete. Ha sposato la montatrice bravissima dei suoi film, Mary Sweeney, amica da sempre. madre d'un suo tiglio tredicenne: e dopo poche settimane ha divorziato. Ha quasi cambiato mestiere, inaugurando una sua Foundation for Consciousness-Based Education & World Peace che insegna yoga e meditazione ispirata al pensiero di Maharishi Maesh.

LIETTA TORNABUONI
La Stampa

Se David Lynch, il regista americano che la 63° Mostra di Venezia premia con un Leone d'Oro per la sua carriera più unica che rara, autore del nuovo film Inland Empire, si sposa con la bravissima montatrice dei suoi film Mary Sweeny, madre di un loro figlio tredicenne, amica da sempre, divorzia poche settimane dopo. Se, compiuti i 60 anni, vuole fare qualcosa per gli altri, quasi cambia mestiere: creando una Foundation che insegni yoga e meditazione trascendentale secondo il pensiero di Maharishi Maesh.
Se deve presentare un saggio all'Axnerican Film Institute, dipinge di nero l'intero terzo piano della sua casa e dirige un film in cui un ragazzino disturbato pianta un seme a terra, lo annaffia, lo cura, lo coltiva, sinché non ne nasce una nonna (i nonni sono stati felici compagni della sua infanzia). Se deve disegnare (sa farlo benissimo. Ha cominciato come pittore passando al cinema per «estendere al cinema le atmosfere della pittura, una specie di pittura in movimento») una striscia a fumetti settimanale per L.A. Reader, il disegno non cambia mai: c'è sempre un cane furioso che digrigna i denti alle banalità del mondo esposte nelle nuvolette. Se sposa una compagna di studi da cui presto divorzia, e dei due figli la femmina, Jennifer, nasce con una malformazione ai piedi, dirige Eraserhead su una paternità mostruosa, suo primo lungometraggio costato cinque anni di lavoro, visto da 25 persone la sera della prima a New York nel 1977, divenuto un film di culto.

DEBORAH SOLOMON
The New York Times

The director talks about why any screen format is good for meditation, why he’s doing his own weather report for your laptop and why he’s not filming his fourth wedding.
This interview is scheduled to appear in a special issue on screens, so let’s start by contemplating the current fascination with the small screen.
That’s a terrible subject. There’s nothing like the big screen. The cinema is really built for the big screen and big sound, so that a person can go into another world and have an experience. As an example, there’s Stanley Kubrick’s “2001:A Space Odyssey” — this would be kind of a pathetic joke on a little screen.
How do you feel about someone watching your films — “Eraserhead,” “Blue Velvet,” “Mulholland Drive” — on a laptop?

IRENE BIGNARDI
La Repubblica

Ogni passione spenta - intendo la passione che ha scatenato in un certo circolo della critica e del pubblico, giusto dieci anni fa, un film diventato di culto qual è Velluto blu - come si deve guardare a David Lynch? Come a un grande regista che si è poi perso all'incrocio tra invenzione e grande produzione? Come al rappresentante di una moda (passeggera) che è stata utile per un momento di svecchiamento e di rottura, ma che non ha saputo diventare uno stile coerente incarnato in un corpus di opere im-~ portanti? Sostiene John Pierson, autore di un recente libro sul cinema indipendente americano, che Lynch è noto in America ormai solo come autore di un telefilm di nome Twin Peaks. Forse è troppo poco. Ma forse il suo culto è stato eccessivo: la ricerca del nuovo Welles, che si è ripetuta uguale con il caso Tarantino un decennio dopo.

BRUNO FORNARA
Film TV

L'ha detto lui coss'e il suo cinema e «l'essere persi nell'oscurità e nella confusione». E l'essere qui, in un posto familiare, come all'inizio di Velluto blu non è uno dei più stupefacenti “attacchi“ di cinema mai visti?), in una Lumberton sotto un bel cielo blu, dove le energiche rose e gli stanchi tulipani crescono vicini a una bianca staccionata, dove passa il carro dei pompieri, i ragazzini vanno a scuola, una signora beve il tè, un signore qualsiasi bagna il giardino, dove tutto insomma è come deve essere: e d'improvviso l'uomo viene colpito da un infarto, e d'improvviso la macchina da presa lo lascia al suo destino per infilarsi sotto terra a scoprire un cannibalesco combattersi dí insetti, accompagnato da un cupo rimbombare di rumori e schiocchi e macinar di ganasce…

EDOARDO BRUNO

Più specificatamente Lynch con Eraserhead entra nel buio della mente, nelle pieghe di un orrore metafisico in cui si dilatano le allucinate visioni di un mondo chiuso in se stesso, con le luci ottuse di un espressionismo da camera. Gli interni si pongono come luoghi metafisici, dove il ferrigno rumore di macchinari invisibili, il continuo angoscioso suono del vento innescano meccanismi di memorie che lambiscono ricordi obsoleti, immaginari paesaggi di solitudine. In questo territorio remoto vivono i personaggi di una allucinazione contemporanea, ectoplasmi sublimi, spermatozoi ingranditi sino a divenire il lucido mostro urlante, che palpita e si decompone; e creature al limite, come la donna-ballerina dei sogni e quella del pianerottolo, invitante seduzione notturna. Lynch scruta le pareti di una casa dalle finestre murate, penetra con lo sguardo oltre i radiatori per osservare i microrganismi di un reale sfatto, di un immaginario ai limiti di una citazione del surreale (Magritte, Richter, Bunuel), come se volesse smontare i meccanismi della percezione per penetrare negli attimi irripetibili degli accadimenti e scomporre la realtà oggettiva in tante emozioni, nella flagranza dell'inavvertito, come pulsione maligna, liquame spermatico di un desiderio rimandato e perverso. Con Elephant Man le strutture dell'immaginario si spostano verso una figuratività ottocentesca, verso una mostruosità nascosta da quel telo che ricopre il volto di John Hurt, maschera di una maschera freaks, perturbante doloroso di un uomo respinto ai margini. Un bianco e nero molto contrastato, elabora un'aura inquietante, che traspone, in una patina di antica stampa vittoriana, il crudele gioco dell'uomo-elefante, e avvolge nella distanza del tempo, un paesaggio interiore, che rovescia il melodramma in un imprevisto gioco surrealista, si veda la sequenza del mostro in un salotto borghese: quel breve momento in cui prende il tè, è come gli incontri impossibili di Man Ray, 'bello come l'incontro fortuito tra una macchina da cucire e un ombrello'.
Questa attenzione a uno spazio percettivo mentale, occluso in un universo claustrofobico si accentua in Dune che recupera attraverso un occhio smisurato le remote distanze dei secoli di un Futuro, dove gli oggetti e i corpi hanno come una fascinazione primordiale, bronzei e pesanti le macchine, mostruosi e fetali i grumi di carne. Qui un surreale da fantascienza si sposa con un Futuro che ha memoria del passato, in cui l'Ulisse ritrova l'Utopia. In un remoto periodo futuro, l'anno 10.091 Lynch delinea uno spazio percettivo che la distanziazione nel tempo, restituisce alla libera invenzione di un delirio visivo rivestendo il Grande Assoluto di forme che raccordano Verne a Rabelais, in un incredibile gioco di metafore, tra macchine 'straordinarie' e corpi smisurati. La luce ottusa, piena di ombre, ha il colore del rame, delle unità claustrofobiche, delle penombre implosive che minacciano continuamente catastrofi e si estende in città sotterranee e in impervi desertici, dove vermi giganti dilacerano le distese di sabbia. Palazzi barocchi, saloni immensi, macchinari di rame e di bronzo costituiscono il territorio preistorico di questo universo futuro, proiettato nella Nuova Rinascenza dove persiste un passato in cui le cose costruite dall'uomo ancora resistono; l'Utopia è questo tempo trascorso che diviene memoria, in una immobilità che accentua il senso del panico. La stessa accentuazione panica che si ritrova in Blu Velvet, nell'immobilità di un morto in piedi, surreale come certe composizioni di Edward Hopper, dondolante in un inerzia senza spazio e senza tempo, dove tutto quel che accade è dato come mentalmente accaduto. Ancora una volta Lynch agisce sui meccanismi del tempo ricomponendo lo spazio sonoro in forme inaudite e sottolinea, con quell'orecchio tagliato trovato per terra, l'invito ad entrare in questa sua impietosa dimensione, che attiene alla pulsione crudele di Bacon, nella messa in scena di questa discesa agli inferi. Occhio e orecchio sono simboli concreti, visione e suono, dilatati e spessi, di questo magma diegetico, furioso di passione interiore, di una ossessione claustrofobica che permea di sé tutto un mondo sotterraneo. In questa datazione da anni cinquanta, Lynch contamina il paesaggio, affabula un mondo malato, come immerso in un clima di panico; inverte le storie e trasferisce nella piccola città di Lumberton, dove è ambientato il film, uno spirito est-europeo, allo stesso tempo innocente e perverso, luminoso e buio. Lo stesso accade con Twin Peaks, dove il flusso della narrazione continua a svilupparsi attraverso le illuminazioni e gli eventi dal senso sospeso, in una piccola cittadina, nella logica che si affida agli accostamenti apparentemente casuali, in debito, ancora, con certo surrealismo, in una continua trasgressione visiva. Personaggi ambigui, ragazze intriganti, nani deformi, e il richiamo a enigmi irrisolti, chiusi come in una scatola cinese, fanno parte di un meccanismo più percettivo che diegetico, di linee portanti un clima perturbante, che rende misteriosi i rapporti e segrete le pulsioni sessuali. Laura Palmer continuerà ad evocare gli intricati percorsi della memoria, e le voci interiori, con gli aberranti imprevisti sviluppi carichi, come sono, di citazioni colte e di invasioni oniriche, intessono un clima iper-codificato (sopratutto nei seguiti degli episodi televisivi). In Fire walks with me, gli ultimi giorni che precedono la morte, sono visti attraverso una messinscena allucinata, in una perdita di identità che inserisce un assoluto distacco. Fantasmi, corpi abbrutiti, ombre affondano nella situazione di incubo, tra piani spezzati e figure lievitate nello spazio mentale, dove in sospensione resistono irrisolti tutti i misteri di questa 'piccola città': forse una 'Brigadoon' rovesciata in una parabola labirintica di cui si e perso il filo d'Arianna.

News

Alcuni dei suoi capolavori e quattro film che, alla sua opera, devono molto se non tutto. In programma fino a fine novembre.
Dal 3 al 14 maggio Rimini ospita l'omaggio di David Lynch ai sogni e ai disegni di Federico Fellini.
Rivelato anche il numero di film in concorso: saranno 35, tra cui Logan Lucky di Steven Soderbergh.
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