Nel film con The Rock il wrestling diventa metafora per una fuga dalla realtà. Al cinema.
di Alessandro Castellino, Vincitore del Premio Scrivere di Cinema
Da un film con The Rock ci si aspetta sempre esuberanza, azione e nuda violenza: e anche in Una famiglia al tappeto non si può dire che manchino. Eppure, per quanto il wrestling possa apparire il baricentro del racconto, le botte (vere o false che siano) sono soltanto la linea di contorno di una narrazione ben più densa. Se alle basi della WWE (World Wrestling Entertainment) sta l'abilità di saper fingere per intrattenere senza spargimenti di sangue, la strada per arrivare al ring più prestigioso del mondo è costellata di psicodrammi tutti reali: e nella dialettica costante fra verità e simulazione si incastra perfettamente il meccanismo cinematografico, che è esso stesso finzione.
Non è un caso che la tecnologia sia ridotta all'osso e abbia l'esclusiva funzione di raccordo emozionale tra i personaggi: in un piano filmico in cui i protagonisti ballano sull'asse instabile dei sentimenti, non stupisce che il valore sull'asse della virtualità tenda costantemente allo zero.
Paige, cimentandosi nella finzione - anche se forse sarebbe meglio parlare di sport "preparato" e non "finto" - del wrestling, vuole dimostrare di tenerci e di voler osare, di essere nata per scatenare l'inferno (i Motorhead cantano e sono cantanti a squarciagola: "show us you care, show us you dare... born to raise hell!). Lo stesso motivo che spinge Paige a combattere è quello di una sostanziale fuga dalla realtà, sebbene nella sua testa risuonino le parole "lo fai per la famiglia": è uno scontro perenne fra la dimensione contingente e quella di evasione, di astrazione, che inevitabilmente si compenetrano vicendevolmente. Una famiglia al tappeto si riconfigura come un film in cui coesistono gli opposti e l'assurdo diventa reale: se poi pensiamo che il tutto non è frutto di fantasia, bensì storia vera, allora anche una inglesissima, iper-borghese signora di Norwich come la mamma di Courtney può sbottonarsi ed esultare con imprecazioni che poco hanno a che fare con l'ethos moderato e perbenista che con poca indulgenza sembrava inquadrarla.