Un film d'intrattenimento che si allontana da qualsivoglia discorso stilistico e cede sotto il peso dell'instabilità formale.
di Eugenio Radin, vincitore del Premio Scrivere di Cinema
A ben vedere Overdrive, l'ultimo film di Antonio Negret, risulta essere una caricatura smunta e inefficace del car-movie di culto Fast and Furious, che, salvo qualche piccola e insignificante trovata originale, si risolve in un conglomerato di déjà vu e di frasi fatte. Volendo tralasciare in questa sede l'analisi degli aspetti prettamente formali e la resa cinematografica dell'opera, ci si può concentrare su quelli che risultano essere i principali problemi di questo genere di prodotti.
Non c'è dubbio che dietro a una tale impresa commerciale si nasconda il tentativo, da parte del cinema francese, di creare un prodotto d'esportazione simile a quei blockbusters a stelle e strisce che tanto successo mietono nel mondo. È un tentativo legittimo, ma che compie, in questo come in altri casi, due errori importanti.
Il primo è il dimenticare la differenza tra film di stampo hollywoodiano e film propriamente hollywoodiano e il fatto che il primo non può semplicemente limitarsi a diventare una caricatura del secondo (che per ricchezza di mezzi ed esperienza ha ben altra probabilità di riuscita). Ciò che è fondamentale è il mantenere degli elementi estranei alla logica di genere, che possano dare al film una propria autonomia e una certa autenticità. Non basta di certo ambientare il film in una location francese per farlo percepire come un film francese: in questo l'Italia ha dimostrato di sapersela cavare meglio, sapendo mantenere una buona dose di originalità anche in film che hanno voluto utilizzare i generi propri di Hollywood (si pensi, per rimanere nell'ambito dei car-movie, al recente Veloce come il vento di Matteo Rovere, in cui, nonostante tutto, emergevano con evidenza elementi tipici del cinema dello Stivale). Insomma, la scelta di appoggiarsi alle logiche d'oltreoceano è giustificabile e può risultare persino intelligente, a patto che il prodotto finale non si esaurisca in questo, ma riesca a conservare una propria unicità, tale da non doversi per altro confrontare con i colossi del mercato estero, ormai diventati veri punti di riferimento e inevitabili metri di giudizio per il pubblico.