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MyFrenchFilmFestival, su MYMOVIESLIVE un mese di grande cinema francese

Dal 13 gennaio al 13 febbraio, 9 imperdibili titoli sempre disponibili in streaming on demand. Scopri i film »
di Marzia Gandolfi

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venerdì 13 gennaio 2017 - mymovieslive

Nel 2016 il cinema francese ottiene il secondo miglior risultato in cinquant'anni con 213 milioni di biglietti venduti e un aumento del 3,6% rispetto all'anno precedente. Le cifre, pubblicate il 30 dicembre dal Centre national du cinéma (CNC), testimoniano la cinefilia francese e la vivacità del cinema francese. Ha ragione Frédérique Bredin, presidentessa del CNC, il cinema è ancora "l'uscita culturale preferita dai francesi" e la Francia è il primo paese in Europa per frequentazione. Se al solito sono le produzioni americane a fare la parte del leone, i film francesi possono contare su un pubblico entusiasta e crescente all'estero come sul territorio nazionale. Ma da qualche anno, il MyFrenchFilmFestival è giunto alla sua settima edizione, esiste una realtà "dématérialisé", uno spazio virtuale in cui vedere il giovane cinema francese e rivedere il suo patrimonio.

Festival online che presenta una selezione di dieci cortometraggi e dieci lungometraggi in concorso, completati da film e corti fuori concorso, MyFrenchFilmFestival raccoglie una stagione felice di cinema francese e lo promuove nel mondo attraverso 35 piattaforme. Dal 13 gennaio, per un mese, una selezione di film è accessibile anche in Italia su MYMOVIESLIVE - Nuovo Cinema Repubblica, attivando un profilo UNLIMITED.
Marzia Gandolfi

Una selezione eclettica che esprime la varietà del cinema francese e che, accanto ai nuovi autori emergenti (Rudi Rosenberg, Antoine Cuypers, Baya Kasmi) e alle conferme (Valérie Donzelli, Emmanuel Finkiel), permette agli internauti di ritrovare i grandi classici del cinema francese come il capolavoro in bianco e nero di Agnès Varda (Cléo de 5 à 7), che diventa eterno dalle cinque alle 7, da rue de Rivoli al Boulevard de l'Hôpital. Drammi esistenziali, commedie sociali, psicodrammi familiari, romanzi di formazione restituiscono invece il quadro avvincente di un panorama artistico che riprende a respirare dopo le aberrazioni del reale. Bonne séance.


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Lina, libanese di diciotto anni, approda nella Francia degli anni Novanta, dove apprende la vita e l'amore. Emancipazione sentimentale e politica di una giovane donna, Parisienne è il miglior film di Danielle Arbid, autrice franco-libanese che segue le avventure della sua eroina in una Francia poco accogliente con gli stranieri. Un film che va dritto per la sua strada senza voltarsi mai. A immagine della sua eroina, che lascia Beirut per Parigi e si iscrive all'università, cercando a fatica la sua autonomia.

Storia di affrancamento che fa vivere i suoi personaggi senza mai cedere alla caricatura, Parisienne sposa il punto di vista della sua protagonista, incarnata da Manal Issa, vera e propria rivelazione in tutti i registri.
Marzia Gandolfi

Tra nostalgia d'epoca e riflessione politica ancora attuale, tra integrazione ed estromissione, sempre dietro l'angolo per Lina, il film di Danielle Arbid è una cronaca di formazione emozionante che rivisita la storia attraverso il prisma dell'intimità. Una storia prossima ma già compiuta.


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In foto una scena di Parisienne.
In foto una scena di Parisienne.
In foto una scena di Parisienne.
 

Storia di un idillio incestuoso tra un fratello e una sorella, Marguerite et Julien è il quarto film di Valérie Donzelli, basato sulla sceneggiatura scritta per François Truffaut da Jean Gruault (sceneggiatore di Jules e Jim e Adéle H). Truffaut non ha mai girato questo film e la sceneggiatura è rimasta lettera morta fino al 2011 quando è stata pubblicata col titolo "Histoire de Marguerite et Julien". Racconto pop ambientato in un'epoca indeterminata e disseminato di elementi anacronistici, il dramma di Valérie Donzelli è ispirato a una storia vera nutrita dalle influenze di Jacques Demy e di Jean Cocteau. Gli enfants terribile della famiglia de Ravelet, che si amano incestuosamente in un castello della Bretagna, sono interpretati da Anaïs Demoustier e Jérémie Elkaïm, coppia erotica fuori norma.

La Donzelli rifiuta di trattare il tema dal punto di vista morale o di gonfiare lo scandalo, l'incesto per l'autrice è un accidente, il punto di partenza di un film d'avventura il cui scopo è la riunione di due corpi che le convenzioni separano.
Marzia Gandolfi

Con Marguerite et Julien, l'autrice ritrova la qualità de La guerra è dichiarata, quella maniera di affrontare la relazione sentimentale come un film d'azione, di privilegiare l'esaltazione dei corpi alla psicologia, i fantasmi al reale. Più impacciato negli interni, Marguerite et Julien dispiega tutta la sua grazia fragile fuori dalle mura domestiche, dove deflagra e prende il largo contro la natura e l'ordine sociale.


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In foto una scena di Marguerite e Julien.
In foto una scena di Marguerite e Julien.
In foto una scena di Marguerite e Julien.

Eddie, padre di famiglia col vizio della bottiglia, è vittima di un'aggressione e indica alla polizia Ahmed, rivale professionale in cui crede di riconoscere il suo aggressore. Perdente che per la prima volta diventa oggetto di attenzione (giudiziaria, amicale, sentimentale e professionale), Eddie ha una seconda occasione. Riaccolto nel focolare domestico non riesce però a ingannare a lungo il suo 'doppio', finendo inghiottito dai rimorsi e dal suo inferno di bastardo ordinario.

Thriller esistenziale, abitato febbrilmente da Nicolas Duvauchelle, Je ne suis pas un salaud combina violenza sociale e spirale paranoica, denunciando i malesseri della società francese: la mancanza di solidarietà sociale, l'esasperazione dell'individualismo e del successo, l'emarginazione dei più deboli, le tentazioni razziste di una classe declassata di francesi autoctoni.
Marzia Gandolfi

Polar psicologico che prende la sua forza da un frammento di ingiustizia, la proposizione estetica e politica di Je ne suis pas un salaud scorre sulle superfici trasparenti di Parigi e delle sue banlieue. Vetri, finestre, bicchieri, specchi, lampade, schermi al plasma catturano la dualità del personaggio e rivelano un'assenza di intimità gravata da un inquinamento sonoro e perpetuo che crea uno stato di allerta permanente. Tra etnografia e finzione, Emmanuel Finkiel realizza un film straordinario sull'invisibile e fatale standardizzazione del modus operandi contemporaneo.


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In foto una scena di Je ne suis pas un salaud.
In foto una scena di Je ne suis pas un salaud.
In foto una scena di Je ne suis pas un salaud.

Psicodramma in un interno, Préjudice è un film denso, teso, ben scritto. Un dramma familiare che articola il disagio, il dolore e la collera di un trentenne che vive ancora in famiglia e che una cena di famiglia, in cui la sorella annuncia di essere incinta, getta in ambasce. Arrabbiato e frustrato Cedric prova a comprendere le ragioni e le origini del suo risentimento, a portare a coscienza della famiglia il pregiudizio di cui è da sempre vittima.

Messa in scena fredda, violenza insidiosa, Préjudice è saturo di nevrosi e percorso da piste che il giovane autore, Antoine Cuypers, batte confondendo colpevoli e innocenti. Perché se Cedric esercita sulla propria famiglia una sorta di tirannia, la madre complessa di Nathalie Baye, affettuosa, castratrice e sottilmente crudele, non è da meno.
Marzia Gandolfi

È la meccanica della loro relazione a muovere una tragedia familiare in cui tutti soffrono e di cui solo loro hanno la chiave. Thomas Blanchard (2 Automnes, 3 Hivers) costruisce un personaggio fragile e indecifrabile che restituisce al mittente l'etichetta di 'disadattato' e rivendica il diritto e la capacità ad avere una vita socialmente, fisicamente e intellettualmente piena. Cedric, durante una cena, che assomiglia a un processo intentato contro la sua famiglia, prova a ottenere un risarcimento simbolico per il torto subito, una forma di riconoscenza o più semplicemente delle scuse per aprirsi all'avvenire. Ma come in ogni relazioni le cose si rivelano più complicate di così e il film insinua che qualche volta non ci sono colpe o volontà di fare del male. Sovente il dolore e l'insoddisfazione sono il risultato di un'interpretazione differente delle cose.


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In foto una scena di Préjudice.
In foto una scena di Préjudice.
In foto una scena di Préjudice.

Félix ha dieci anni, un'immaginazione fertile e la paura di tutto. Alimentata dalle violente discussioni dei genitori o dall'evocazione dell'AIDS di un compagno di classe, la paura di Félix satura il film e vira verso pericoli più reali. Il punto di vista adottato da Philippe Lesage, autore canadese al suo debutto, è quello dell'infanzia, un'infanzia attraversata da un lupo su cui Félix avrà infine la meglio.

Lo sguardo di Lesage, leggero ma quasi brutale nella sua radicalità, disegna le angosce quotidiane di un ragazzino che ci ricorda che la spensieratezza dell'infanzia non è che una parentesi.
Marzia Gandolfi

L'infanzia è questione gravosa, una montagna di affanni che nasconde il sole. Così è per Félix, a dispetto del nome e della nostalgia degli adulti per la sua età. Adulti che non sembrano vedere il suo terrore, come se la stagione della maturità li avesse privati della sensibilità necessaria. Tra musica drammatica pesante e coreografie leggere, Les Démons affronta la violenza al cuore della vita, suggerendone il male senza per forza mostrarlo. Un film minimale che funziona con la sensibilità dello spettatore e il suo consenso all'abbandono.


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In foto una scena di Les Démons.
In foto una scena di Les Démons.
In foto una scena di Les Démons.

Rudi Rosenberg aveva già esplorato le tribolazioni della preadolescenza in due corti che anticipano il suo debutto in lungo (13 ans, Aglaée) e attestano un interesse sincero per un'età in cui essere accettato, integrarsi, è una questione di vita o di morte. Benoît ha tredici anni e arriva in una nuova città e in una nuova scuola dove deve ricominciare tutto da capo. Accumulando frustrazioni, causate dalla sua condizione di nuovo, si legherà ai compagni più naïf, sarà deriso da quelli popolari e si innamorerà di Johanna, la graziosa compagna di classe svedese.

Le Nouveau, sospeso tra malinconia e ottimismo, tra il desiderio di accettazione e la definizione di sé, tra esclusione e ambizioni sociali deluse, frequenta il quotidiano dei suoi giovani protagonisti che patiscono una crudeltà ordinaria sui banchi di scuola.
Marzia Gandolfi

Armato di buona volontà e una scatola di cioccolatini, Benoît incarna l'instabilità dei suoi pochi anni in un film che assomiglia ai suoi personaggi. Un film che assuma la grazia e la fragilità dell'età prepuberale, comprendendone anche la crudeltà e il ridicolo. Con spirito, gentilezza e tanta dolcezza, Le Nouveau ribadisce il diritto di diventare grandi senza rinunciare all'infanzia, riscrivendo una lezione difficile da acquisire quando hai dodici anni e la vertigine di una vita davanti.


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In foto una scena di Le Nouveau.
In foto una scena di Le Nouveau.
In foto una scena di Le Nouveau.
 

Seconda opera di Mikhaël Hers, Ce sentiment de l'été disegna le conseguenze singolari di un lutto in piena giovinezza e in piena estate. Muore così Sasha, all'improvviso, spezzando il cuore di chi la ama. Da Berlino a Parigi, da Parigi e New York, anno dopo anno, Lawrence, compagno di Sasha, e Zoé, sorella della ragazza, sono legati da una stagione che richiama una perdita irrimediabile e da un sentimento di continuità persistente.

Come sopravvivere all'assenza è il soggetto di un film che articola il peso del dolore con enorme delicatezza. Un dolore che tocca amici e famiglia e avvicina Lawrence e Zoé. L'autore segue le traiettorie esistenziali dei suoi personaggi, diversi per età e interessi ma uniti da un legame forte che passa per Sasha.
Marzia Gandolfi

Qualcosa di indicibile che non riescono a dire e che Hers traduce per metafore. Ce sentiment de l'été traccia allora un percorso della memoria, la geografia e il tempo, il luogo e il momento che risvegliano il ricordo di chi abbiamo perduto. L'ombra di un'assenza nella luce dell'estate, stagione di bellezza a portata di mano ma anche di vuoto, di mancanza, di vita disertata in attesa di una nuova stagione per lasciare andare Sasha, per riprendere a parlare di lei col sorriso.


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In foto una scena di Ce sentiment de l'été.
In foto una scena di Ce sentiment de l'été.
In foto una scena di Ce sentiment de l'été.

Sospeso tra ritratto femminile e commedia sociale, Je suis à vous tout de suite oppone Hanna, trentenne gentile, così gentile da fare sesso con chi licenzia per consolarlo, e Hakim, fratello intransigente convertito all'Islamismo. Se Hanna non sa dire no, Hakim non dice più a niente. Inseparabili da bambini, come riconciliarli da adulti?

Commedia drammatica, il film di Baya Kasmi, sceneggiatore di Hippocrate, affonda il sorriso in una società minata dall'egoismo e in soggetti grevi come la crisi identitaria, l'islamofobia, il sessismo.
Marzia Gandolfi

Cinema umanista che risale il tempo per fare luce sulle ombre del passato, Je suis à vous tout de suite debutta leggero come la sua eroina. Perché la leggerezza è l'unica maniera che Hanna conosce per sopravvivere e per non farsi divorare dalla vita. Vimala Pons interpreta con sottigliezza una donna che si appella al desiderio per tacere sotto la gonna e dietro una bontà ereditata e invalidante, i suoi fantasmi. Tra un fratello devoto e una sorella licenziosa, la commedia interconfessionale di Baya Kasmi abbraccia con brio la sorte della seconda generazione di immigrati magrebini attraverso una famiglia irresistibilmente perbene.


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In foto una scena di Je suis à vous tout de suite.
In foto una scena di Je suis à vous tout de suite.
In foto una scena di Je suis à vous tout de suite.
 

Superba creatrice di forme, Agnès Varda realizza nel 1962 Cléo dalle 5 alle 7, un film che vanta epigoni come la sua eroina sospesa (Corinne Marchand), silhouette di platino e di allure parigino. Il titolo lascia intendere l'attesa di una diagnosi. Ad attendere è una cantante egocentrica e vanesia che teme di avere il cancro.

Secondo film di Agnès Varda, Cléo dalle 5 alle 7 esplora la dittatura dei minuti che scorrono sugli orologi e producono il cambiamento della protagonista da oggetto a soggetto. Soggetto magnifico che guarda, ascolta e si lascia finalmente raggiungere dal mondo.
Marzia Gandolfi

Cléo dalle 5 alle 7 è la storia indimenticabile di una trasformazione. Capolavoro della Nouvelle Vague, inscrive sulle strade parigine le deambulazioni della sua eroina meravigliosamente glamour. All'eleganza della protagonista corrisponde quella della messa in scena rigorosa e preziosa, che resiste alla morte che morde i margini. Un film sulla paura della morte, sul tempo che fugge e i giorni felici, al ritmo di un refrain ostinato cantato da Corinne Marchand. Un film di inesauribile libertà che non assomiglia a nessun altro. Per questo è diventato eterno.


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In foto una scena di Cléo dalle 5 alle 7.
In foto una scena di Cléo dalle 5 alle 7.
In foto una scena di Cléo dalle 5 alle 7.

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