Al via un festival diverso da tutti gli altri, per i film che propone e per l'atmosfera che da 18 anni lo caratterizza.
di Emanuele Sacchi
Un'isola felice dove riparare per dimenticare gli affanni della quotidianità e per scoprire tutto di una cinematografia ancora invisibile (o quasi) sugli schermi italiani.
Un festival diverso da tutti gli altri, non solo per i film che propone, ma per l'atmosfera unica che lo contraddistingue.
Il diciottesimo anno è quello dei grandi ospiti, Johnnie To e Sammo Hung, ad aprire e chiudere un'edizione speciale: 72 titoli, con 5 prime mondiali e due retrospettive, dedicate ai kaiju eiga del post-Godzilla e ai restauri in 4K dei classici con Bruce Lee. Ma anche un buon numero di documentari e di proposte "anomale" per gli standard udinesi, legate a un cinema d'autore o di denuncia, tra cui spicca il discusso Ten Years, visione distopica di Hong Kong tra dieci anni. Il cuore del festival resta comunque il cinema popolare, di cui il Far East rappresenta una insostituibile vetrina. Dove altro trovare storie sul calcio in Malaysia o su un insonne freelance thailandese? Tutto questo è Far East Film Festival: di motivi per seguirlo ce ne sono centinaia, ma dovendo limitarsi proviamo ad approfondire le principali ragioni che rendono irrinunciabile questa edizione.
Il punto forte del Far East n. 18, ricco di star note anche a chi bazzica solo occasionalmente i lidi dell'Estremo Oriente.
Ad aprire è il regista più significativo degli ultimi due decenni a Hong Kong, un affezionato amico del festival, Mister Johnnie To.
Oltre a presentare un film prodotto dalla sua Milkyway Image, il noir corale Trivisa (con un cast di volti classici della Hong Kong anni '90), To firma il trailer supersegreto del festival, che segna anche il suo debutto nel mondo dell'animazione. A chiudere è invece Sammo Hung, corpulento ma velocissimo eroe di tanti gong fu pian al fianco di Jackie Chan o in solitudine, con il suo The Bodyguard. Allertate anche le fanciulle, per la presenza del pop idol Go Morata e di quel Ryuhei Matsuda che gettava scompiglio con il suo fascino presso i samurai di Tabù-Gohatto.
Uno dei maggiori incassi cinesi della stagione ha coinciso con il ritorno sugli schermi di Ip Man, il maestro di Bruce Lee che è stato protagonista di numerose ricostruzioni cinematografiche della sua vita negli ultimi anni.
L'incarnazione più popolare e amata rimane senza dubbio quella con Donnie Yen nei panni del sifu e Wilson Yip dietro la macchina da presa.
Dopo il successo (anche italiano) dei primi due capitoli, il terzo episodio approda al Teatro Nuovo Giovanni di Udine, con un cameo d'eccezione di Mike Tyson, ex-campione dei pesi massimi, che si trova a duellare con il wing chun di Ip.
Il film che più ha fatto parlare di sé a Hong Kong nell'ultimo anno, un simbolo politico ancor prima che un'opera d'arte.
Dopo la sinistra profezia di The Midnight After di Fruit Chan, Ten Years va anche oltre nella rappresentazione di un possibile distopico futuro che attenderà l'ex colonia se non saprà affrancarsi dal giogo cinese.
Dichiaratamente politico e ispirato dalle gesta dell'Umbrella Movement, il film è stato boicottato in ogni modo dal governo di Pechino, fino alla decisione di cancellare la diretta televisiva degli Hong Kong Film Awards, dove Ten Years è stato prevedibilmente votato come Miglior Film.
Ben due quest'anno i tuffi nel passato. Da un lato i kaiju eiga e i film di fantascienza che hanno esorcizzato le paure post-atomiche del Giappone, sulla scia di Godzilla e oltre.
Le retrospettive di quest'anno includono pellicole spesso ingenue ma altrettanto spesso iconiche.
Ai mostri in bianco e nero rispondono i colori squillanti dei restauri in 4K dei classici di Bruce Lee: Dalla Cina con furore, Il furore della Cina colpisce ancora e L'urlo di Chen terrorizza anche l'Occidente, finalmente riportati all'antica magnificenza. Il piccolo drago come (forse) non l'avete mai visto.
In un panorama come quello udinese, che è solito privilegiare action movies, romcom, wuxia e in genere il cinema popolare dell'Estremo Oriente, quest'anno trovano spazio alcune visioni fondamentali per i cinefili di ogni latitudine.
Da non perdere China Now, una nuova sezione dedicata al cinema d'autore e di impegno politico cinese, dall'acclamato Three Stories of Love di Hashiguchi Ryosuke, per arrivare a Kurosawa Kiyoshi, maestro dell'horror psicologico (Cure) che ha saputo preservare negli anni una poetica personale e coerente, oltre a uno stile di regia inconfondibile.
Creepy, fresco di prima berlinese, è un appuntamento obbligato, nonché il debutto di Kurosawa sugli schermi del Far East.
Alla Corea del Sud il pubblico del Far East tributa da sempre un'attenzione speciale, mostrando ogni anno una sensibilità innata sia per il lato comico della cinematografia del 38° parallelo che per il suo lato più action e noir.
Massiccia quantitativamente e qualitativamente la presenza sudcoreana della diciottesima edizione, con il film d'apertura affidato a The Tiger - An Old Hunter's Tale, dramma storico su un cacciatore e sull'ultima tigre di Joseon sullo sfondo della dominazione giapponese, con il grande Choi Min-sik (Old Boy).
La cattività sotto il governo di Tokyo è protagonista anche di Assassination di Choi Dong-hoon, secondo incasso sudcoreano del 2015 e protagonista di un'altra serata del FEFF: una star come la bellissima Gianna Jun e la maestria tecnica di un blockbuster che non ha nulla da invidiare alle grandi produzioni statunitensi.
Tra gli habitué del Far East Film Festival si nascondono molti illustri personaggi del giornalismo televisivo, da Tatti Sanguineti a Federico Buffa, che non perdono mai occasione per tessere le lodi del festival udinese.
Tra i giornalisti c'è anche Pio D'Emilia, inviato speciale di Sky ed esperto di cultura e politica giapponesi.
Uno degli eventi di questa diciottesima edizione è sicuramente la proiezione di Fukushima - A Nuclear Story, un reportage sul disastro nucleare nipponico e sui suoi segreti, condotto con coraggio e competenza dallo stesso D'Emilia e trasformato in uno scioccante documentario da Matteo Gagliardi.
Difficilmente un festival riesce a far sì che una città intera cambi il proprio volto. Udine, invece, nella settimana del Far East Film Festival diviene decisamente internazionale, colorata, scatenata.
La prima domenica di festival coincide con il Cosplay Contest, che porta in piazza una miriade di ragazzi scatenati, camuffati da protagonisti di anime e gothic lolitas, mentre per tutta la settimana a Piazza San Giacomo le bancarelle propongono le delizie dell'artigianato giapponese e sul palco si alternano le esibizioni di scuole di arti marziali.
Gli spettatori del Far East non vivono l'evento come un festival qualsiasi, ma come un'occasione partecipativa. Gli applausi, le risate, le lacrime o le standing ovation, che uniscono tra loro tutte queste emozioni, si sprecano. Una partecipazione attiva che si traduce nel voto assegnato a ogni film in concorso. Perché, a differenza di tutti gli altri festival, il Far East non ha una giuria, ma solo un pubblico affezionato che ogni anno elegge il proprio film del cuore, a cui viene assegnato il Gelso d'Oro. E spesso, a giudicare dall'albo d'oro, ha la meglio un titolo della Corea del Sud: sarà così anche nel 2016?