Dal successo di Alice in Wonderland a Il cacciatore e la regina di ghiaccio - in sala dal prossimo 6 aprile - le grandi favole classiche recuperano l'efferatezza originaria, espandono le proprie origini e tornano al cinema.
di Gabriele Niola
A partire dal successo di Alice in Wonderland di Tim Burton le favole classiche hanno cominciato a tornare con maggior decisione sullo schermo in una versione live action e, per differenziarsi dal passato, l'hanno fatto con un tono fantasy. Da quel lavoro di adattamento e stravolgimento al tempo stesso è nato un filone che ha cominciato a rimettere in scena per un altro tipo di pubblico i personaggi più conosciuti. Ci sono state le versioni steampunk di Hansel e Gretel cacciatori di streghe come quelle puramente mitologiche di Maleficent, c'è stata la trasposizione di Jack e i giganti (ovvero Jack e la pianta di fagioli) o ancora Biancaneve di Tarsem Singh. Ogni volta un'espansione delle origini, delle motivazioni e della mitologia della fiaba in questione.
Ora Il cacciatore e la regina di ghiaccio parte dal successo di Biancaneve e il cacciatore per approfondire il rapporto tra la regina malvagia di Charlize Theron e il cacciatore di Chris Hemsworth.
Di nuovo fantasy e approfondimento, dall'adattamento di un classico in un mondo più fantasy (e quindi più cupo e minaccioso anziché solare e favolistico) alla sua espansione. Dalla favola alla pura mitologia.
Il passaggio è annunciato anche per gli altri adattamenti, sebbene la storia recente del cinema insegni che le favole sono già diventate cinema live action, acquistando in modernità e perdendo probabilmente un filo d'innocenza o forse recuperando qualcosa, cioè l'efferatezza originaria.
Neil Jordan utilizza costumi e scenografie classiche, costruisce e ambienta il suo "Cappuccetto Rosso" nel periodo giusto e nel mondo giusto ma lo contamina con uno sguardo adulto. Non vuole espandere niente, vuole capire cosa ci sia dietro.
È la carne l'unica cosa a contare e quel mondo minaccioso in cui la protagonista sembra sempre in pericolo, nasconde una forte attrattiva sessuale.
È quella della bocca grande e dei denti aguzzi, del timore che nasconde attrazione, mangiare come possedere. Neil Jordan non teme i sottotesti delle favole, li espone.
Non c'è nessuna favola nello specifico e ci sono tutte le favole insieme in quest'avventura impossibile ideata da Terry Gilliam che ha al centro i due più noti favolieri.
Come in un impossibile viaggio nell'ispirazione a Gilliam non interessa raccontare qualcosa di coerente, ma mettere in scena un mondo mitologico, uno in cui effettivamente il fantastico possa convivere con il reale e abbeverarsene.
I fratelli Grimm vivono le avventure che racconteranno in un tripudio di effetti pratici e digitali. Qui di certo c'è una specie di espansione della mitologia, perché è come un gigantesco prequel di ogni storia che verrà, e di certo c'è quella particolare idea di fantasy che Gilliam inserisce in qualsiasi suo lavoro.
La migliore delle favole moderne rimesse in scena. Forse perché la più superficialmente tradizionale e sottilmente rivoluzionaria. Kenneth Branagh non rinuncia a nessuno dei luoghi comuni più famosi del mito di Cenerentola ma con fermezza ne rivede le dinamiche di potere.
Mai sottomessa e anzi sempre molto fiera, la sua Cenerentola continua a subire le angherie della matrigna e ad agognare un domani migliore ma senza il fare vittimista.
Eroina che si salva da sè e conquista la propria felicità invece che damigella in attesa di un principe.
È puro cinema americano anni '90 quello che partorisce Freeway.
Riadattamento poliziesco e da highway di "Cappuccetto rosso", in cui Reese Witherspoon è seguita dal lupo Kiefer Sutherland.
Siamo nel campo delle trasposizioni e non delle espansioni, è il mondo delle fiabe che cambia di genere e incrocia il noir modernissimo, tramite il corretto tasso di appeal sessuale, cinismo e pericolo.
La favola è nota ma Powell e Pressburger giocano di sponda. Raccontando la storia di una ballerina che mette in scena un balletto tratto da esso cambiano il tempo (per trovare la loro modernità), aggiornano le dinamiche e sono liberi di prendersi licenze.
Il risultato è un melodramma umidissimo nei contenuti e splendido nella forma, la maniera migliore per riconquistare il primato originario della favola, ovvero la sua caratteristica da sogno.
Il cinema può creare un incanto e lo può fare con le armi che gli sono proprie, lavorando di recitazione e fotografia, di costumi e di ambienti per raccontare (come sempre), i contrasti della vita contemporanea e la lotta per essere felici, senza rinunciare ad ammaliare lo spettatore.