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Un inedito di Fitzgerald: forse gli avrebbe allungato la vita

ONDA&FUORIONDA di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Francis Scott Fitzgerald.

domenica 16 agosto 2015 - Focus

Il luglio scorso la Bibioteca Sormani di Milano, nel quadro di un programma estivo di cinema all'aperto, incentrato sulla vita di alcuni scrittori, ha proposto Adorabile infedele, film del 1959 che racconta l'ultima fase della vita di Scott Fitzgerald, quella hollywoodiana, con Gregory Peck. In questi giorni, negli archivi dell'università di Princeton è stato trovato un inedito dello scrittore "Temperature", datato 1939. Ecco, questo 1939, e quel racconto, rifiutato dagli editori, assume un'importanza enorme, mortalmente tragica. La decisione di andare a Hollywood non era una scelta, ma una necessità.

Siamo nel 1936. Il grande successo era finito, i romanzi di Fitzgerald non vendevano più. La moglie Zelda, vicino a un genio vero, ossessionata dall'emulazione, aveva tentato di scrivere, di dipingere, di ballare. Cominciò a dar segni di instabilità. Poi si ammalò sul serio e venne ricoverata in una clinica, in quella più costosa naturalmente. E c'era la figlia Scottie, ormai adolescente, che studiava, nei college più costosi, naturalmente. E così tutto era cambiato per Scott, minore energia, minori successo e denaro, appunto. E poi la salute: ormai aveva sempre il bicchiere in mano. E così il romanziere pensò al cinema. Credeva che Hollywood lo avrebbe accolto come una star, lui il grande maestro. Ma non fu così. Quando la Metro, che aveva lo scrittore sotto contratto, lo presentò a Joan Crawford, la diva, che non lo aveva mai sentito nominare, lei gli disse "lavori sodo giovanotto". Il sistema del cinema era fondato sul mercato più che sulla qualità. L'eleganza di scrittura, l'armonia del fraseggio, non trovarono accoglienza in California. Scott venne applicato a molte sceneggiature, anche importanti, come I tre camerati, e Via col vento. Scriveva i suoi dialoghi, poi arrivavano un paio di sceneggiatori con un vocabolario di cinquanta parole, che tiravano delle righe e correggevano. Mortificazioni per un uomo ormai debole, e tristissimo. Una volta lesse su «Variety» della rappresentazione a Pasadena di un suo racconto, "Un diamante grande come il Ritz". Noleggiò una Rolls Royce e in pompa magna, con Sheyla Graham, la sua ultima compagna, si recò sul posto, per scoprire che si trattava della recita di un gruppo di studenti in uno scantinato. Finché un giorno Irving Thalberg, il gran capo della Metro, lo convocò e gli disse che era costretto, a malincuore, a rinunciare alla sua collaborazione: "la tua prosa è un godimento, ma non possiamo fotografare gli aggettivi". Scott cercò un recupero, si disse disponibile ad adattarsi, si umiliò. Ma lo Studio fu irremovibile. Fu il colpo di grazia: salute in caduta verticale, crisi da alcol quasi mortali.

Ora sappiamo che ci fu quel tentativo col racconto recuperato. E sappiamo che venne rifiutato. In una situazione psichica e fisica così difficile un piccolo, parziale successo - Scott era abituato a ben altri trionfi - l'accettazione del testo, e magari un anticipo, sarebbe stato un incentivo salvifico. Una prospettiva di entusiasmo che avrebbe creato un intermezzo con meno angosce e meno liquori. Invece... lo aiutò Sheila, si offrì di sostenerlo per la stesura di un nuovo libro. Scott nutriva l'idea per una romanzo proprio su Hollywood, che vedeva come il ricorso di una corte rinascimentale, con monarchi e principi, dignitari, giullari, artisti, puttane e faccendieri. Si sarebbe chiamato "The Last Tycoon", in italiano "Gli ultimi fuochi". Si ritirò in una villetta davanti al mare di Malibu. Scrisse sette capitoli e li spedì all'editore Scribner. Dopo molti anni era tornato scrittore vero e sperò di poter ricomporre miracolosamente la salute e di arrestare la caduta. Una felicità di pochi giorni. Morì di infarto poco prima del Natale del Quaranta. Stava facendo un progetto di viaggio in Italia, un "magnifico paese" che conosceva poco. Scartò una tavoletta di cioccolato, ma non fece in tempo a gustarla, scivolò dalla sedia, colpito da infarto. Dunque "Temperature", casualmente ritrovato, uno script di ottomila parole, una piccola cosa rispetto al percorso, ricco e nobile dello scrittore più dotato della letteratura americana, a posteriori assume quell'importanza tragica. Siamo in molti a non veder l'ora di leggerlo.

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