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Storia "poconormale" del cinema: puntata 119

Una rilettura non convenzionale della storia del cinema. Di Pino Farinotti.
di Pino Farinotti

In foto Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella scena più famosa de La dolce vita.
Anita Ekberg (Kerstin Anita Marianne Ekberg) 29 settembre 1931, Malmö (Svezia) - 11 Gennaio 2015, Roma (Italia). Interpreta Sylvia nel film di Federico Fellini La dolce vita.

venerdì 17 giugno 2011 - Focus

I grandi titoli
Gli anni Cinquanta erano stati, per la nazione, un decennio importante e traumatico. Eravamo un paese sconfitto, tuttavia avevamo attutito il colpo grazie al tardivo movimento della Resistenza, soprattutto per l'azione di uno statista come De Gasperi, che grazie ai rapporti personali instaurati col presidente Truman, era riuscito a inserire l'Italia nel Patto atlantico nonostante le resistenze interne e l'opposizione di alcune delle grandi potenze. Sotto la "tutela" degli Stati Uniti il Paese sentì di potersi rifare, in tutti i sensi. Artisticamente avevamo esportato nel mondo l'idea del nostro realismo, economicamente eravamo forti della garanzia americana, appunto. L'Italia si stava riprendendo. Ma il contesto era complicato, non univoco, c'era in atto anche la cosiddetta trasformazione dalla cultura contadina a quella industriale. Alla fine del decennio Cinquanta dunque c'era in giro, insieme a una evidente accelerazione del benessere, anche l'inadeguatezza, culturale e sociale, a contenere quel benessere in regole acquisite e poi consolidate. Il Paese avvertiva una sorta di choc generale.

Istantanea
A cogliere l'istantanea di un momento come quello, a volte ad anticiparla, di solito è la letteratura, da noi questa volta fu un'opera che andava oltre tutte le discipline. Era un film. Era La dolce vita.
Quel titolo raccoglie tutto ciò che è possibile raccogliere. Per cominciare è diventato un lemma. Per molti mesi era stato il più pronunciato del mondo. Ancora oggi è il titolo italiano più famoso, evocato in automatico da chi tocchi il cinema italiano, chiunque e dovunque sia. Federico Fellini si era opportunamente preparato a quell'exploit. Aveva già firmato opere di alta poetica, meno "sociali", come La strada e Le notti di Cabiria, entrambe premiate con l'Oscar. Per la sceneggiatura scelse in primis se stesso: Fellini era un ottimo scrittore anche se si sentiva prestato alla letteratura. E ne aveva troppo rispetto per non accedere al meglio del meglio, in chiave di scrittura. Così chiamò Tullio Pinelli, grande sceneggiatore "puro", soprattutto si affidò a Ennio Flaiano, autore tout court, con importanti racconti e romanzi firmati. Così nel 1960, La dolce vita esplose come un tuono. La storia.

Marcello
"Il giornalista Marcello è su un elicottero che trasporta una grande statua di Gesù. In un night cerca di avere notizie sulla vita mondana. Incontra una ricca annoiata e passa la notte con lei, a casa di una prostituta. Riesce a conoscere Sylvia (Ekberg), la scarrozza per Roma di notte, lei fa il bagno nella fontana di Trevi. Nel frattempo Marcello litiga furiosamente con la sua compagna, possessiva e gelosa. Frequenta Steiner, uomo colto e sereno, perfettamente felice. In compagnia del "paparazzo" cerca di fare un servizio su alcuni bambini che hanno visto la Madonna. Marcello riceve la visita di suo padre, vivace ed entusiasta, che però si sente male in quella bolgia, e riparte. Si viene a sapere che Steiner si è suicidato dopo aver ucciso i suoi bambini. Nel frattempo Marcello, giornalista, non scrive mai una riga. C'è una specie di orgia a casa di un nobile a Fregene. Situazione di grande squallore. La mattina Marcello cammina sulla spiaggia e vede da lontano una ragazza, una cameriera che aveva già incontrato. Lei gli parla, ma lui non riesce a sentirla per il rumore del mare. Titolo fondamentale del cinema italiano e del mondo. Dopo una serie di film che possiamo definire di "perfezionamento e ricerca", Fellini rappresenta il dolore con segnali universali. Le sue angosce in prima persona trovano manifestazioni simboliche che si trasferiscono a tutti. Il caos, la vita "arruffata", il tentativo di integrarsi in qualche modo con gli altri, la tensione di fare qualcosa che non è mai chiara ma che va fatta, la pigrizia per la consapevolezza che anche centrando l'obiettivo... l'obiettivo alla fine non c'è. Il mito ha poi rilanciato ogni sequenza del film in tutto il mondo dando del nostro cinema e indirettamente del nostro paese un quadro diverso rispetto a quello della stagione del neorealismo. Roma non era più quella di Antonio Ricci che cerca di rubare una bicicletta o di Umberto D che vive di elemosine, ma quella di via Veneto, coi suoi locali, le sue feste, il suo "far niente". Via Veneto, così come quella Roma, così come i film, erano dunque per Fellini un gioco continuo, la possibilità di ritardare le "cose serie" e l'entrata nel mondo dei grandi. La capacità di rappresentare cose che esistono appena, o che sono addirittura sognate, ha reso Fellini una personalità a misura del cinema, che tutto sommato è nulla più che luce e ombra. Proprio come la Roma della dolce vita, città del papato, dell'antichità e del cinema: tutte astrazioni, evanescenze, sogni. Materia per film. Marcello assiste a questa e a quella situazione, tutto materiale di lavoro, ma non lavora mai. Esce da una festa per andare a un incontro. Non caverà niente di buono. Ma c'è sempre l'episodio successivo..."

Palma
Il film ebbe, fra gli atri riconoscimenti, la Palma d'oro di Cannes. Per anni ci fu dialettica senza soluzione di continuità. Certo Fellini non aveva rassicurato nessuno, così com'è prerogativa del cinema tirare dritto per la propria strada. Furibonda fu, per tanto tempo, la politica. La didascalia era questa: davvero magnifici questi geni italiani, nel primo dopoguerra avevano dato del Paese un'immagine di povertà vergognosa, e poi di corruzione altrettanto vergognosa. Tuttavia quel film è uno dei momenti più alti della cultura italiana di quel secolo, dico in chiave di arte onnicomprensiva. Gli americani hanno attribuito a Federico Fellini cinque Oscar (uno alla carriera). Mai un artista "esterno" è stato tanto riconosciuto. "Onnicomprensivo" è un aggettivo importante, perché lo scatto del cinema verso la nobiltà dell'arte generale lo si deve ai nostri maestri che sappiamo. E fra le tante opere che hanno firmato, dalla memoria sollecitata, il primo titolo richiamato di getto è quasi certamente La dolce vita.

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