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Ombre dal passato, remake del thailandese Shutter

Joshua Jackson ci riprova con l'horror in questo remake di Masayuchi Ochiai.
di Marianna Cappi

Il grande sbarco

lunedì 4 agosto 2008 - Approfondimenti

Il grande sbarco
Nell'anno in cui le protagoniste di una delle serie tv più amate sono sbarcate al completo sul grande schermo con Sex and the City, il film, alcuni rappresentanti eccellenti dell'altro emisfero ma dello stesso universo hanno agito per non essere da meno.
È il caso di Patrick Dempsey e di Joshua Jackson, entrambi non del tutto alieni al formato del lenzuolo bianco ma decisamente più affini a quello del tovagliolo catodico, che ha cullato il primo tra i corridoi di Grey's Anatomy e fatto nascere il secondo nell'alveo di Dawson's Creek (e attenzione: si è sfiorata la comparsa dell'ex Pacey tra i colleghi del dottor Stranamore, poi annullata dallo sciopero degli sceneggiatori che ha paralizzato la passata stagione).
Come Dempsey, che non tradisce il genere e resta principe azzurro nella commedia rosa (Come d'incanto, Un amore di testimone), Jackson ci riprova con l'horror, dopo esser passato, adolescente, dalle mani del maestro Wes Craven.
Questa è l'ora di Ombre dal passato, remake del tailandese Shutter, unanimemente considerato tra i migliori prodotti dell'orrore in salsa thai.

Hollywood mangia giapponese, in salsa thai
Ancora una volta Hollywood si affida al remake di un film asiatico e recente, sebbene non giapponese, evidentemente incapace di fare di meglio con le proprie forze, anche laddove –come in questo caso- la formula è già passata attraverso una serie di ripetizioni e variazioni sul tema del binomio "vendetta / capelli neri" alla The Ring.
Il regista Masayuchi Ochiai si testa per la prima volta nel film anglofono di capitale americano, ma lo ambienta in gran parte nel suo Giappone, per fornire un surplus di esotismo e favorire il senso di spaesamento della coppia protagonista.
Joshua Jackson e Rachel Taylor, sposini a caccia di un'occasione di lavoro, si ritrovano prede di un'inquietante presenza femminile, che compare nelle loro foto e ben presto infesta la loro vita. Tenuto inizialmente sul filo del paranormale, il film rientra poi nel canone della spiegazione razionale o quasi, a riprova di un'avvenuta mutazione.

La rappresentabilità della paura
Tradizione lunga e consolidata, infatti, legava il cinema giapponese al genere fantastico e, in particolare, alle tinte soprannaturali. Ma gli anni Novanta hanno radicalmente sconvolto il panorama esasperando e virando questa tendenza fino a trasformarla in una vera e propria impennata di film horror di ottimo livello e successo esteso, al mercato occidentale compreso.
Punto di forza e di novità, il pensiero (cinematografico) attorno alla rappresentabilità della paura, che registra (è il caso di dirlo...) con i Ring di Nakata Hideo -che legano la morte in serie alla visione di una videocassetta- un notevole salto di qualità.
Ombre dal passato, per quanto d'impatto, "torna" alla fotografia e a questa scelta deve pregi e difetti. Più chiaro e esaustivo di altri titoli, quasi un "ingrandimento", ripropone senza innovazioni una narrazione e uno stile già fin troppi noti, finendo per proporsi, nel confronto con l'originale Shutter, come la fotografia di una fotografia: sbiadito e irrimediabilmente privo di "unicità".

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