L'uomo nero torna sul grande schermo
L'uomo nero, o boogeyman, è una creatura nata dalla fantasia popolare che secondo la leggenda si nasconde nell'oscurità per spaventare i bambini. La sua figura terrificante ha ispirato numerosi racconti ed è entrata nell'immaginario letterario e cinematografico, dove spesso è stata sfruttata come metafora stessa della paura irrazionale. Nell'approcciare il mito di boogeyman, Jeff Betancourt ha preso spunto dalla leggenda secolare per trasformarla in un incubo terribilmente reale. Se Freddy Kruger animava lo spazio onirico dei protagonisti di Nightmare, l'uomo nero di Betancourt si muove nell'oscurità della mente umana popolata da paure e fobie, usando la paura contro il soggetto stesso che ne è vittima. "La sceneggiatura parte da questa premessa, mostrandoci cosa accadrebbe se qualcuno conoscesse bene le paure di un altro essere umano e le usasse contro di lui" spiega il regista che con Boogeyman 2 fa il suo esordio dietro la macchina da presa dopo aver prestato servizio al cinema come montatore. Rispetto al primo Boogeyman diretto da Stephen Kay, Betancourt riprende le idee di base, amplificandole e rendendole più intense.

La paura, una questione estetica
In termini estetici, sono un grandissimo fan di Ridley Scott e John Carpenter. Sono cresciuto guardando Halloween e La cosa e tutti quei vecchi film che si distinguevano per atmosfera e stile visuale. Volevo riprodurre quella cifra stilistica e, considerato che ho avuto a disposizione un budget molto basso, potevo contare solo sulla scrittura, sull'atmosfera e sulla location per riuscire a ricreare quel tipo di paura nello spettatore. Quando abbiamo trovato la vecchia clinica abbandonata abbiamo capito che era il luogo perfetto per ambientare il film. Ho anche fatto ricorso agli elementi che mi spaventavano da bambino, come le figure scheletriche o i corpi morti degli uccelli. Infine, con il designer, ci siamo confrontati su quale sarebbe dovuta essere l'immagine dell'uomo nero. Boogeyman è il risultato di cinque o sei idee che ci sono venute e che abbiamo riunito in un'unica figura.

L'esordio in lungo per un montatore
Ero nervoso al pensiero di fare il salto da montatore a regista. Sono onesto, il solo pensiero di lavorare con gli attori mi innervosiva, perché non faceva parte del mio mestiere. Da montatore il mio lavoro si limitava ad aiutare il regista a raccontare la storia nel miglior modo possibile, utilizzando il maggior numero di elementi per coinvolgere nella storia il pubblico. Passare dietro la macchina da presa è stato molto naturale e sono stato fortunato a trovarmi a lavorare con tanti professionisti capaci che mi hanno supportato. Tuttavia ero terrorizzato dall'incontro con gli attori che invece si sono rivelati essere di grande aiuto. Venivano continuamente da me con delle idee fantastiche rendendo il mio lavoro infinitamente piacevole. Preferisco di gran lunga il ruolo del regista che quello del montatore. È molto più divertente.

Lavorare con Tobin Bell
Quando ho incontrato Tobin Bell ero nervoso. Ho sentito il suono della sua voce e improvvisamente mi sono tornate in mente tutte le immagini di Saw. Ma è stato fantastico lavorare con lui. Mi ha confidato che quello che gli piaceva maggiormente del suo ruolo era la fisicità del personaggio e il fatto che si potesse muovere liberamente, fare cose, essere dinamico, addirittura lottare, cosa che non aveva mai fatto ne L'Enigmista. Tobin ha preso un po' il comando del cast, incitando tutti a dare il massimo delle proprie possibilità. Non voleva che nessuno si adagiasse sul proprio ruolo. Scegliere lui come attore ha avuto un peso specifico sul film, proprio per via del suo successo come Enigmista. Un po' come poteva accadere negli anni '30 e '40 prendendo attori come Karloff o Lugosi.