La ricerca della felicità

Premetto. Non ho mai nutrito una stima particolare per il cinema di Gabriele micio-micio-Muccino. Un cinema animato da uno spirito puttaniere, retorico e spudoratamente sentimentale (e non drammatico,beninteso). Eccezion fatta, questo sì, per il suo battesimo del fuoco, opera seminale ma di curiosa vitalità. Detesto quell'universo logoro di macchiette stereotipate e isteriche che alimentava i suoi precedenti lavori. Quel senso del racconto sincopato e febbrile, infarcito di sub-plot indiscreti e superflui e contornato da assordanti canzoncine da top ten. Come te nessuno mai:smorfioso. L'ultimo bacio: ruffiano. Ricordati di me: ampolloso. Certo, poi ti capitava di sentirlo parlare, di vederlo gesticolare quel muccinaccio, con quel suo fare concitato da benigni-in-naftalina, da mazziere del gioco delle tre carte e realizzavi che sì, tutto sommato, non che li facesse poi per cattiveria, o per asservimento (alla produzione? alla tradizione?) quelle piaghe visive, quegli strazi in celluloide, era solo il suo modo spontaneo di perorare la causa. All'italiana. O all'italiota. Con quel misto di paranoia e strafottenza, di impeto sincero e calcolata affabulazione.
Bene. D'improvviso però,vien fuori che Muccino sta girando un film a Hollywood, con Hollywood,e nondimeno con un budget (e una troupe) di prim’ordine e un cast 'decente' (sissignore! basti pensare che finora la più grande interpretazione del prodigo Smith era stata Indipendence Day, e per poco non la spuntava l'alieno...). E ti balena la domanda epocale: sarà Muccino a giovare a Hollywood, o sara Hollywood a rigenerare Muccino (tipo beauty farm, o ancora meglio lavanda gastrica). A volontari e coscritti l'ardua sentenza. Io dal mio micromondo opterei per la seconda, vostro onore. E spero senza incorrere nelle ire della tanto clemente giuria.
Ebbene sì. L'alta scuola, la nobile vocazione alla pulizia del racconto, all'essenzialità carnale (non a caso si parla di montaggio fantasma) che è l'anima di Hollywood, sottopone a spietata epurazione il cinema di Zì Gabriele da tutta quell'infinità di frizzi, lazzi, orpelli e ghirigori inutili che popolavano, intasandola, la sua galassia estetica. Il racconto dell'escalation di cataclismi (sempre più gravi, sempre più simultanei: questo si che è larger than life!) che si rovesciano sul nostro povero ma mai inerte drop-out, la narrazione delle sue miserie immanenti e dei suoi splendori morali, il respiro di un'America reganiana nell'involucro ma jeffersoniana nello spirito, sono esternati con una sapienza e una austerity profondamente radicate nelle forme-di-comunicazione-a-carattere-narrativo-della-tradizione-yankee, per inciso, il cinema.
E quindi, ragionando per deduzione, se la 'materia prima' (di una ricerca, di una visione)è l'America, è lo 'strumento' (altro che 'sguardo vergine, vecchio Volpone!) è ugualmente l'America, che fine ha fatto l'identità del regista, lo slancio, l'impronta, l'unghiata di quell'uomo chiamato'autore', come un dì si soleva candidamente asserire? Bello emigrare certo, ma ancora più bello sarebbe stato se in tasca avessi avuto un bel dizionario d'inglese, caro Paisà, in luogo di quella luccicante versione rimasterizzata di 'Ladri di biciclette' da mostrare a tutta la troupe! Caro Muccino: ricordati di te.
In definitiva a farla da padrone è il PROFILMICO: maiuscola la fotografia, San Francisco è tanto accecante quanto plumbea, sopraffini trucco parrucco e costumi, efficace il montaggio e nobile la recitazione. E per Gabrieluzzo, tutto qua? Tranquilli: la scena del bagno-grotta è già mito!