Non essere cattivo |
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Un film di Claudio Caligari.
Con Luca Marinelli, Alessandro Borghi, Silvia D'Amico, Roberta Mattei.
continua»
Drammatico,
Ratings: Kids+13,
durata 100 min.
- Italia 2015.
- Good Films
uscita martedì 8 settembre 2015.
MYMONETRO
Non essere cattivo ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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L'amicizia tossica.
di Bruce HarperFeedback: 1664 | altri commenti e recensioni di Bruce Harper |
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venerdì 11 settembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Partiamo dal titolo: Non essere cattivo? Ma che razza di titolo è? Una frase infantile, un monito, di quelli che si scandiscono ai ragazzini per farli rigare dritto, essere onesti, voltare le spalle al lato oscuro. Basterà? O le forze esterne avranno la meglio? Ecco nella sua apparente semplicità l’opera di Caligari narra la storia di un’amicizia nata e cresciuta nel posto sbagliato (Ostia) al momento sbagliato (1995). Quello di Cesare e Vittorio è un destino antitetico ma ugualmente ingrato perche predestinato alla sconfitta, come quello di un animale da allevamento che vede la luce dentro un mattatoio. L’ambiente è ostile, le porte chiuse, i vicoli ciechi, il movimento immobile, il finale deve essere amaro. La carne è segnata dal marchio della resa. Il rapporto individuo-ambiente è senza dubbio uno dei temi cruciali della filmografia di Caligari. Il contesto non è mai semplice sfondo. Il profilo sinistro dei paesaggi di Ostia si spartisce simmetricamente le inquadrature con i due meravigliosi antieroi. Vittime e carnefice. Se questo è un noir la borgata è il killer, così come lo sono le mean streets di Scorsese o le banlieu di Kassovitz. Qui non c’è posto né per l’affermazione né per l’accettazione del sé, qui c’è posto solo per l’odio, la rabbia, il terrore e la miseria, e la droga, intesa non come ricerca, non come cura, ma come fuga. Ma non c’è fuga dalla bocca di un vulcano, solo una discesa agli inferi. Così come non c’è cura per una bambina affetta da una malattia senza nome ma solo l’inesorabile, l’inesprimibile, nonostante tutti gli sforzi, gli sbattimenti, le buone intenzioni. Perché questo, a conti fatti, non è un paese per la speranza. La speranza è stata derubata, annientata, desertificata, da qualche osceno ecomostro abusivo o da una squallida catapecchia di legno in cui si vanno a bucare i tossici. Non è un paese per la tenerezza, impalata senza pietà a una croce tra le tombe. E non è un paese neanche per l’amicizia, anche se è un’amicizia vera, genuina, morbosa, malata, un’ ‘amicizia tossica’, come quella di Cesare e Vittorio, di gran lunga la cosa più bella del film. Perché Vittorio fallisce, non redime l’amico, non lo salva, e il destino di Cesare si compie nell’unico degli esiti possibili: la tragedia. Ma non si tratta di un ‘sacrificio’, che porta a qualcosa di più alto, alla redenzione, al perdono, al riscatto, si tratta di una resa. Perché nessuno può uscire vincitore dall’universo di Caligari. E se anche il figlioccio di Vittorio comprende, di fronte ai continui stenti economici, ai litigi, alle asprezze della vita, che l’unico modo per farsi strada è il codice della strada, allora come può il futuro colorarsi di una tinta che non sia del nero più doloroso e sinistro? Come potrà (caro Mastrandrea) un paffuto bebè inatteso e imprevisto sperare (o farci sperare) in qualcosa di buono? Come può un singolo close-up sublimare una promessa di speranza e futuro quando ogni singolo fottuto fotogramma della storia appena raccontata viaggiava nella direzione opposta? E’ un finale stridente, infelice, un pugno in faccia improvviso che non c’entra niente con tutto il resto, rovina un racconto memorabile perché amaro, crudo, dolente, vero e intenso, incredibilmente intenso, e pone dei seri interrogativi sulla reale paternità della sua messa in scena. Per non parlare del tema musicale sui titoli di coda... solo per quello dovrei azzerare le stelle ma mi limito a toglierne una. Gioiello mancato... sul rettilineo finale.
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