Le notti di Cabiria

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Un film di Federico Fellini. Con Franca Marzi, Giulietta Masina, Amedeo Nazzari, Dorian Gray, François Périer.
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Drammatico, Ratings: Kids+16, b/n durata 110 min. - Italia 1957. MYMONETRO Le notti di Cabiria * * * * - valutazione media: 4,34 su -1 recensioni di critica, pubblico e dizionari.
   
   
   

Lucciole, maghi e poeti. Valutazione 4 stelle su cinque

di Bruce Harper


Feedback: 1664 | altri commenti e recensioni di Bruce Harper
mercoledì 12 settembre 2012

Le notti di Cabiria, magistrale settima prova di Federico Fellini esce nelle sale nel 1957, ottenendo notevoli consensi. Il film viene premiato con l’oscar come miglior film straniero, tre Nastri d’argento, due David di Donatello e una palma d’oro strameritata al festival di Cannes per l’interpretazione di Giulietta Masina. La pellicola racconta le vicissitudini della prostituta Cabiria, alias Giulietta Masina, nel pittoresco sottobosco dei bassifondi romani. Il suo è un mondo di emarginati, derelitti, gente che ha ormai perso ogni speranza in una qualche minima forma di appagamento della propria anemica esistenza e che come si suol dire tira a campare. Non è dello stesso parere Cabiria, animata da un nobile spirito guerriero e dal desiderio incontrastabile di cambiare vita, voltare pagina, invertire la rotta di una vicenda umana in disarmo, grazie ad un salvagente emotivo che le verrà lanciato da quell’uomo che, ne è sicura, un giorno si innamorerà di lei.
La scansione narrativa è lineare, paratattica. La struttura è episodica, e molti critici maliziosi hanno trovato in questa dei sintomi di frammentarietà. Ciò nonostante, sebbene i vari capitoli siano di tono diseguale e grossomodo quasi autosufficienti, essi si caratterizzano in prima istanza per una medesima parabola diegetica, passando tutti da un’iniziale stato di euforia o quantomeno di benessere spirituale ad uno di infelicità e disincanto segnato da toni di tragedia, e in seconda battuta concorrono a farci assimilare e capire appieno la natura dell’identità della piccola prostituta di borgata e il senso del suo destino. Cabiria deve transitare attraverso una serie di prove esistenziali  per cogliere il senso della condizione umana e i limiti e le miserie definitive del suo e di tante altre esperienze, senza però tralasciare un senso di beata rassegnazione che ritroviamo nel suo ultimo, rigato sorriso.
Il film contiene in nuce tutti i marchi di fabbrica del regista riminese il quale, ricordiamo, si fa le ossa nel cinema in ambito neorealista per poi bruscamente virare verso una rappresentazione magica e fiabesca, onirica e circense di quelle stesse immanenti realtà. Questo attrito è ancora più presente in questo film in virtù della collaborazione di Pier Paolo Pasolini. La loro sinergia nasce proprio dalla smania di Fellini di cooperare con l’autore romano, a seguito della sua lettura del libro Ragazzi di vita, testo da lui particolarmente apprezzato. Dopo averlo contattato Fellini si reca a Roma dal suo nuovo amico e da lui si fa guidare in una quasi mistica esplorazione degli ambienti degradati di Roma, rigorosamente di notte, perché è proprio lì che sedimenta il materiale umano che egli vuole trasfigurare nel suo prossimo film, la galassia dei relitti, delle persone in disarmo, costretti a vivere ai margini. Lo farà soprattutto grazie ai dialoghi di Pisolini; dialoghi che, vista la dimestichezza del poeta con quegli ambienti, saranno più reali del reale stesso, dialoghi segnati da un registro colloquiale, dialettale e perfino scurrile, visto che sarà lo stesso Federico ad affermare a posteriori che per quieto vivere era stato costretto a smussare alcuni passaggi un pò troppo al vetriolo.
La pellicola di conseguenza oscilla sempre in bilico sul confine sottile che congiunge le due identità, così come Cabiria, strampalata, irascibile, ma sempre pudica e compassionevole. Ed è così che il film spicca il volo. Grazie alla mano sapiente di Fellini, grazie alla sua straordinaria capacità di donare unità al film semplicemente soffiandoci sopra il respiro magico della sua poesia assoluta e del suo personalissimo senso della religione sui generis, il film ondeggia tra degrado e decoro, tra dissoluzione esibita e grazia agognata, tra scabrosa trivialità e religiosa santità.
Resta un film di un lirismo inimitabile, una coralità e un respiro assoluti e soprattutto resta quello stupore, quella spontanea  tenerezza che riesce a generare il mago di Rimini e che a volte solo lo sguardo dei bambino sulle cose riesce a suggerire. Resta la superba interpretazione di Giulietta Masina, sempre più musa del maestro, sempre più Charlot al femminile, e resta l’irripetibile collaborazione tra due inarrivabili pionieri del nostro cinema e della nostra cultura, Federico Fellini e Pier Paolo Pisolini, il mago ed il poeta.

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