12 anni schiavo |
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Un film di Steve McQueen (II).
Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti.
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Titolo originale 12 Years a Slave.
Biografico,
durata 134 min.
- USA 2013.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 20 febbraio 2014.
MYMONETRO
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Il rapporto di minoranza di Salomon Northup
di Bruce HarperFeedback: 1664 | altri commenti e recensioni di Bruce Harper |
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domenica 20 dicembre 2015 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Questo film racconta la più classica delle discese agli inferi, la vita spensierata di un uomo qualunque che piomba senza motivo in un doloroso e disperato incubo ad occhi aperti. Eppure c’è qualcosa di strano in questo film, qualcosa che non quadra. C’è un senso di disagio, di sfasatura, di idiosincrasia, che serpeggia in tutta l’opera, non so di preciso ma Salomon non sembra mai ben inquadrato, contestualizzato, nelle situazioni in cui è immerso, sembra più un TESTIMONE che un protagonista, un testimone indiscreto, marginale, decentrato. Salomon non è un negro che ha vissuto ‘al centro’ della schiavitù, è un negro che è finito ‘in mezzo’ alla schiavitù, per caso, in un mondo non suo, lui che è cresciuto da borghese libero e istruito nel civile e democratico Midwest. Ed è come se questa dissonanza risuonasse durante tutto il film, da una parte gli schiavi veri dall’altra quello fake, posticcio, la nota stonata. McQ non ci racconta la storia dello schiavismo, il suo non è un affresco sulla memoria né un discorso sulla natura umana, lui ci racconta la storia di un uomo qualunque che è finito per sbaglio in un destino non suo, il ritratto di un drop-out, le memorie di uno straniero. UN UOMO CHE NON E’ VITTIMA DELLA STORIA MA E’ VITTIMA DEL CASO, perché l’ingiustizia raccontata non è lo schiavismo in sé ma l’averlo vissuto per sbaglio. Ma il punto è perché? Perché McQueen sceglie un protagonista così alieno? Una voce fuori dal coro, un rapporto di minoranza? Perché non ci narra di Kunta Kinte? Quintessenza della negritudine schiava? Sembra quasi voglia dirci che noi possiamo assistere allo schiavismo ma non possiamo capire lo schiavismo, capire la portata immensa di quel dolore perché non lo abbiamo vissuto, così come non lo vive Salomon, che diventa oggetto del nostro transfert, della nostra compassione, più per il suo essere corpo estraneo in un destino non suo che per essere un negro negli anni della schiavitù. L’orrore dello schiavismo è toppo grande per essere raccontato/immaginato/compreso, resta sullo sfondo, è un background, la cornice, ma di più non si può, l’orrore e’ troppo grande, troppo indicibile. E’ questa la causa dell’afasia, dell’inadeguatezza. L’inadeguatezza di Salomon alle prese con un destino troppo grande riflette e veicola l’inadeguatezza di McQ alle prese con un soggetto troppo grande, soverchiante, ingovernabile. E questo disagio (dell’autore), questa sfasatura (dello sguardo), scaturiscono prepotenti dalle immagini per balenare con veemenza sulla faccia di chi osserva. Ma chi è che osserva? E come se McQ dicesse: cari spettatori occidentali medi, borghesi, liberi, benestanti e intellettualmente raffinati, volete l’identificazione? Volete che il vostro regista schiavo negro vi racconti la storia degli schiavi negri per far divertire il padrone bianco? Per farlo stare meglio? VOLETE CHE GLI SUONI IL VIOLINO? Bene vi offro l’unica identificazione possibile, quella che nega qualsiasi funzione consolatoria, qualsiasi senso di appartenenza o accettazione: il rapporto di minoranza, il pdv dello straniero che assiste all’orrore, lo intercetta, ma senza mai diventarne veramente e incondizionatamente parte. Senza mai interiorizzare, senza mai viverlo, senza entrare davvero in comunione con il sistema spirituale che in quel mondo si consuma. Vi mostro uno come voi, uno Zio Tom, un individualista borghese che non ci pensa due volte a scappare miseramente lasciando alle spalle i veri poveracci.
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