12 anni schiavo |
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Un film di Steve McQueen (II).
Con Chiwetel Ejiofor, Michael Fassbender, Benedict Cumberbatch, Paul Dano, Paul Giamatti.
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Titolo originale 12 Years a Slave.
Biografico,
durata 134 min.
- USA 2013.
- Bim Distribuzione
uscita giovedì 20 febbraio 2014.
MYMONETRO
12 anni schiavo
valutazione media:
2,94
su
-1
recensioni di critica, pubblico e dizionari.
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Un McQueen un po' lontyanodi Germano F.Feedback: 1250 | altri commenti e recensioni di Germano F. |
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sabato 22 febbraio 2014 | |||||||||||||||||||||||||||||||||||||
Nel 1841 un uomo di colore di New York viene ingannato, rapito e venduto come schiavo nel sud degli Stati Uniti. Rimarrà in questa condizione per 12 anni, fra abusi, torture psicologiche e fisiche, violenze, paure, aberrazioni. Solo il fortuito incontro con un abolizionista canadese riuscirà a riportarlo a riabbracciare la libertà e la propria famiglia. La storia di Solomon Northup è, in apparenza, abbastanza lineare, ma nasconde una sottotraccia metaforica e, ancor di più, psicologica intensa e complessa. Il talentuoso regista inglese Steve McQueen gestice la narrazione con la bravura che ormai tutti gli riconoscono, ma a volte non riesce a dare profondità introspettiva ai propri personaggi. A partire proprio dal protagonista, ma anche per le parti secondarie, i caratteri appaiono incerti e inconsciamente ambigui. Solomon, interpretato da un pur bravo Chiwetel Ejiofor, nel film ondeggia tra sottomissione ed improvvisi tentativi di rivolta, tra accettazione della propria condizione di schiavo e banali tentativi di fuga, tra rassegnazione e incrollabile voglia di vivere e non solo"...di sopravvivere".Forse, o meglio, sicuramente, non era facile riuscire a districare un periodo così lungo di schiavitù e l'abbruttimento ad esso inevitabilmente connesso, in poco più di due ore di opera. Non era semplice condensare l'alto valore metaforico che ogni singolo episodio della vita di quest'uomo può dare, con i dettami commerciali imposti dalla moderna industria cinematografica. Ma indirettamente il paragone con "Hunger", l'opera prima di McQueen, viene spontaneo. La storia di Bobby Sands veniva là raccontata con una profondità introspettiva ineguagliabile e il dialogo tra il detentuto e il prete (vero centro nervoso del film) davano valore e riflessione alla scelta di Sands : i silenzi erano come rumore carico di significato. "12 anni schiavo" non ritrova questi sbocchi. Il regista sembra concentrarsi più sugli atti di violenza gratuita, sulle grida di terrore e di dolore, sulle distorte e compulsive degenerazioni dei padroni-schiavisti Epps e signora (un duo quasi da film d'orrore), sull'impossibilità di fuggire alla paura. Questo non vuol dire che il film non viva di profondi momenti di lirismo : il paesaggio della Louisiana che scorre davanti ai nostri occhi è insieme potente e indifferente alle brutture degli uomini (forte assonanza con alcune delle ultime opere di Malick); i primi minuti, e in particolare, l'incontro sessuale tra i due schiavi nella calca della baracca comune (profondo e disincantato); la fotografia della prigione in cui è rinchiuso Solomon a Washington con sullo sfondo un Campidoglio insensibile ed appannato (simbolo di un potere imperiale ed economico che si fonda sulla privazione e sulla violenza); la presa di coscienza del protagonista della propria condizione di uomo di colore cantando il bellissimo brano gospel "Roll Jordan Roll". E soprattutto la scena dell'impiccagione di Solomon, con quell'apatia così terrorizzata e terrorizzante, che la fa immediatamente divenire simbolo e metafora più dei nostri giorni che di tempi passati. Gli attori si dimostrano tutti capaci e affidabili. In particolare sono da sottolineare le prove di Sarah Paulson (nella parte di Mary Epps) e di Paul Dano ( nella parte di del mastro carpentiere vigliacco e crudele John Tibeats). Ovviamente non bisogna scordarsi Michael Fassbender, perfetto in un ruolo (quello di Edwin Epps) che lui governa con agio e maestria. Ma chi sorprende più di tutti è sicuramnte Lupita Nyong'o nel ruolo della schiava Patsey : la sua prova nella scena del palo e della frusta è determinante e scuote definitivamente il film portandolo al culmine. Qui McQueen rispolvera il suo miglior arsenale con un lungo, preciso e terrificante piano-sequenza. Rimane poco da dire : il finale è sicuramente un po' melenso e di chiara matrice hollywwodiana, ma è comunque un buon film, forse un po' didascalico, ma dal forte impatto emotivo ed educativo. Da McQueen ci si aspettava tutti un po' di più. Ma forse è lui che ci ha abituati troppo bene.
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