Meryl Streep (Mary Louise Streep). Data di nascita 22 giugno 1949 a Summit, New Jersey (USA). Meryl Streep ha oggi 74 anni ed è del segno zodiacale Cancro.
La vita di Meryl parte sul velluto. Famiglia benestante, i migliori collegi, Scuola d'Arte Drammatica alla Yale University e una nomination per i Tony Award per una sua interpretazione teatrale.Il suo volto però diviene noto grazie a un ruolo da non protagonista ne Il cacciatore di Cimino. Il pubblico più vasto comincerà però a piangere dinanzi alla sua bravura in Kramer contro Kramer come moglie separata di Dustin Hoffman. Da questo momento si afferma la sua fama di "De Niro in gonnella" per la meticolosa maniacalità con cui costruisce i suoi personaggi. Al punto di imparare il tedesco con accento polacco per interpretare il ruolo della protagonista in La scelta di Sophie. Il volto spigoloso e non particolarmente bello non costituisce per lei un handicap ma le consente di affrontare numerosi ruoli drammatici che talora tenta di abbandonare per volgere lo sguardo verso il grottesco come nel caso di La morte ti fa bella o di She-Devil. Ma poi il richiamo del dramma, esso sentimentale o 'sociale', si fa sentire irresistibile e qualche volta colpisce il bersaglio. Come nel caso dell'eastwoodiano I ponti di Madison County in cui la sua italoamericana madre di famiglia infagottata in abiti da campagna colpisce al cuore non solo il protagonista ma la platea. E i fazzoletti passano dalle tasche agli occhi. Meryl Streep nella sua straordinaria carriera ha ottenuto 13 nomination all'Oscar (e due statuette), 18 al Golden Globe (vincendone quattro) e ha vinto il premio per la migliore attrice ai festival di Cannes e Berlino, un Emmy televisivo e un César "ad honorem". È difficile dunque scegliere, nella sua filmografia, un ruolo piuttosto che un altro, perché il suo perfezionismo non lascia mai scampo e le sue interpretazioni sono semore perfette. Nelle annate "magre", come nel 2003, è capace di gareggiare contro se stessa: candidata al Golden Globe sia per Adaptation - Il ladro di orchidee, con il ruolo della scrittrice di un best seller, che per The Hours, dove è un'agente editoriale, ha vinto il Globo per il primo film, mentre per il secondo si è consolata con l'Orso d'argento.
Il dubbio perenne di non essere all'altezza dei ruoli che le vengono offerti. La magnifica capacità di portare gli anni, comprese le rughe che non hanno mai conosciuto lifting. L'assoluta normalità di una vita da antidiva. Nell'arco della lunghissima carriera, iniziata al Vassar College con il ruolo della signorina Giulia di Strindberg, Meryl Streep, 54 anni, vincitrice di due premi Oscar candidata per tredici volte alla statuetta, non ha mai tradito se stessa.
Ancora oggi, mentre sta per arrivare nelle sale italiane The manchurian candidate di Jonathan Demme, con l'ultima delle sue stupefacenti interpretazioni, l'attrice dichiara di non avvertire affatto il peso delle tante esperienze ma, anzi, di sentirsi ogni volta come alla prima prova: «La mia insicurezza cresce con il tempo che passa, sono sempre meno convinta di sapere che cosa può funzionare e cosa no. Quando inizio un nuovo lavoro sono ancora piena di eccitazione ma, a differenza di quando avevo più o meno 27 anni, non so mai se e perché quel lavoro raggiungerà il successo».
Sposata con lo scultore Donald Gummer, madre di quattro figli di età compresa fra i 13 e i 25 anni, Streep ha sempre infilato un ruolo dopo l'altro, privilegiando il cinema rispetto al teatro perché le consentiva assenze da casa meno prolungate e portando i suoi bambini, ogni volta che poteva, in giro per i set del mondo. Oggi vive a Manhattan, nel quartiere di Tribeca. Ci è tornata, dopo un periodo a Los Angeles, esattamente due giorni prima dell'attentato alle Torri Gemelle: «Quello che è successo l'11 settembre ha profondamente cambiato tutto. Ma io e la mia famiglia, come gli altri newyorkesi, continuiamo ad amare questa città. E poi i miei genitori stanno diventando anziani, sentivo la loro mancanza e anche quella dei miei fratelli che vivono qui».
Con l'età, hanno osservato alcuni cronisti americani, l'impegno di Meryl nel sociale è aumentato e il ruolo di Eleanor Prentiss Shaw, la terribile madre conservatrice di The manchurian candidate, le ha offerto l'occasione, negli ultimi mesi, di esporre spesso e volentieri le sue convinzioni politiche: «Sono tante, tantissime, le questioni per cui è necessario mobilitarsi. E la professione non c'entra. Non si può dimenticare di essere cittadini solo perché si è famosi. E poi ogni scelta della nostra vita è politica, oltre che personale».
Intanto, nei tailleur color pastello della senatrice Prentiss Shaw, pronta a qualunque ignominia pur di promuovere la carriera del figlio Raymond, membro del Congresso ed eroe di guerra, Streep dice moltissime cose. Alla sua maniera. Cioè attraverso un'ennesima, travolgente prova d'attrice, spesso fatta di gesti minuscoli. Come il passarsi le dita fra i capelli corti perfettamente in piega, o aggiustarsi la spilla vistosa sul bavero della giacca, oppure sorvegliare il figlio in corsa per la Casa Bianca con un lampo degli occhi che mescola materna soddisfazione con trionfante senso del possesso e inestinguibile sete di potere.
«Ellie Shaw», ha spiegato l'attrice, «è una donna che adora suo figlio e crede in lui. Ma è anche una madre che tenta, attraverso il figlio, di raggiungere la posizione politica che ritiene le sia stata negata. Sostenendo la leadership del suo Raymond, cerca di realizzare le proprie aspirazioni personali». Nelle interviste, anche all'ultima Mostra del cinema di Venezia, dove ha riscosso gran successo personale, ha spiegato di aver costruito il ruolo pensando a personaggi precisi: «Sono affascinata da gente come Margaret Thatcher e Magdalene Albright. Ho osservato a lungo quel tipo di persone, quelle che fanno accadere le cose. Mi ha colpito la loro determinazione, la loro sicurezza».
Il regista onathan Demme (vincitore dell'Oscar per la regia del Silenzio degli innocenti) ha detto che l'approccio di Meryl al personaggio di Ellie gli ha suggerito sul set tantissime idee: «Non mi pare vero di aver avuto la fortuna di lavorare con Meryl Streep, è il sogno di ogni regista».
Anche Mike Nichols, l'autore che l'ha diretta nella versione televisiva di Angels in America, la commedia sull'Aids diTony Kushnerin cui la diva ha interpretato il ruolo di un rabbino ortodosso, la pensa allo stesso modo: «Un giorno abbiamo girato una scena in cui c'erano vari rabbini, uno era Kushner, un altro era interpretato da un suo amico, Maurice Sendak. È stato lui che, alla fine delle riprese, è rimasto letteralmente scioccato nello scoprire che l'anziano ebreo con cui aveva trascorso l'intera giornata era in realtà Meryl Streep. Ecco, queste sono le cose che accadono quando si lavora con Meryl».
Per Nicole Kidman, che ha diviso con Streep il set di The hours, la diva è un modello a cui ispirarsi. Nel lavoro, ma soprattutto nella vita: «Sono cresciuta guardando i suoi film, lei è sempre stata la migliore, quella che l'intera generazione delle attrici della mia età ha considerato come l'esempio a cui rifarsi. Meryl ha alzato il livello delle possibilità femminili, come donna, come madre, come interprete. Ha dimostrato che si può avere una vita anche facendo questo mestiere. Ha insegnato come sia possibile recitare offrendo performance brillanti e sempre diverse».
Tanto per non smentirsi, dopo aver girato The manchurian candidate, Streep ha interpretato, accanto a Jim Carrey eJude Law, il ruolo della terribile zia Josephine nella versione cinematografica del racconto per bambini Lemony Snicket's, a Series of unfortunate events. Poi sarà in Prime, una commedia con Sandra Bullock e in Flora Plum, diretta da Jodie Foster.
Secondo Streep la regola hollywoodiana che mette da parte le attrici non più giovanissime sta entrando in crisi: «Per avere più storie che parlino di donne bisogna che ci siano più donne nel mondo del lavoro. Questa regola valeva quando ho iniziato e vale ancora adesso. Oggi il numero delle donne con ruoli decisionali è aumentato e, man mano che esse guadagnano posizioni più elevate, ecco aprirsi un mare di opportunità. Ecco venir fuori ruoli, storie, personaggi. Ecco crescere l'interesse verso persone che non siano solo bellissime ventottenni».
Da Lo Specchio, 6 novembre 2004
La verità è che le sarebbe piaciuto rimanere nella cucina con vista campagna, nella sua casa del Connecticut; preparare dolci per i figli; guardare la televisione ogni tanto e tornare a recitare quando l’occasione è quella giusta.
Invece niente. Le è successo di dire qualcosa, di esprimere un’opinione politica e subito la più grande attrice americana degli ultimi trent’anni è diventata una scomoda liberale, un’aspirante comunista ingrata e viziata. È bastato che dicesse che a lei George W. Bush proprio non piace. Per essere precisi, la frase incriminata è questa: «I problemi del nostro Paese? Hanno un nome e un cognome, quello del nostro Presidente».
Che non è esattamente il modo in cui si esprime una casalinga di 55 anni, con due Oscar in soggiorno e quattro figli da mandare a scuola ogni mattina. Ma questo è il destino di Meryl Streep, ragazza del NewJersey, da quando mise il naso a New York e si trovò un lavoro come cameriera, mentre Shakespeare era in cerca di lei, per trasformarla in una diva di Broadway. Da allora mai una scelta scontata, mai un film sbagliato. Una prova: due progetti le hanno fatto abbandonare i fornelli la scorsa stagione. Il primo, per la tv Hbo: una miniserie, Angels in America, sul tema scomodo dell’Aids. Risultato? Undici Emmy Awards vinti. Il secondo: il remake di The Manchurian Candidate, film molto politico, che l’ha trascinata in un’arena mai frequentata prima.
«Non sono mai stata un’attivista. Sono anche piuttosto contraria al fatto che una persona famosa debba per forza esprimere giudizi su temi che non la riguardano, e che riesca ad avere una certa cassa di risonanza. Penso di essere innanzitutto una cittadina e di avere diritti e doveri di tutti. Non è detto che la mia opinione sia migliore di quella di uno sconosciuto».
La frase su Bush le ha procurato qualche fastidio, ma anche molta attenzione da parte dei mass media. «Da una parte mi ha fatto piacere, perché il personaggio mi preoccupa. Mi inquieta chi sostiene di essere ispirato da Dio, e poi non esita a far bombardare un Paese straniero. Mi domando: ma il Dio di cui parla Bush saprà anche che cosa significa la definizione “danni collaterali”?».
Parla da madre. Come la senatrice che interpreta a fianco di Denzel Washington in The Manchurian Candidate: Eleanor Prentiss Shaw, affascinante, determinata, e decisa a trasformare il figliolo nel prossimo vicepresidente. Un ruolo che sembra ritagliato sopra la figurina di Hillary Clinton. Basta non dirglielo. «Non mi sono ispirata a Hillary, ho costruito il personaggio sulla mia esperienza. Quale? Le ore trascorse davanti alla tv guardando il canale politico. È l’unico programma che mi appassiona sul serio. In quel mondo ci sono dei tipi formidabili, alcuni con grandi doti di recitazione».
Un film ad alta gradazione polemica. Per una che dice di godersi la vita cucinando frittelle. «Ogni film è politico. Dovremmo intenderci sul significato di “politico”. Ma ogni volta che ti siedi al cinema e sei stimolato a pensare e a discutere, allora quello è un film politico. Ma io, più che sul progetto generale, mi concentro sul personaggio. Mi piacciono i ruoli complessi, le donne piene di conflitti. Questa lo è».
Adesso però non ci venga a dire che s’era “scordata” che The Manchurian sarebbe uscito negli Usa poco prima delle elezioni. «Ma certo: il tema è stuzzicante. Ha a che fare con l’ambizione, con la falsa presunzione di poter controllare gli eventi e col triste destino che tocca a chi vuol lanciare crociate puritane nel mondo politico. C’è una guerra sullo sfondo, insomma, non mancano tanti riferimenti al reale. Ma oltre a questo, c’è un messaggio che riguarda le donne. Il mio personaggio è una senatrice, un tipo forte, di quelle che non piacciono, perché a nessuno piace una donna che si faccia rispettare. Non sa quanta gente c’è a Hollywood terrorizzata da femmine con gli attributi».
Adesso che parla a ruota libera di Bush, anche lei diventa un’attrice che può far paura.
Sorride: «Io potrei ritirarmi e dedicarmi alla mia famiglia, senza vincere mai più un premio e leggere una critica positiva, ed essere davvero felice. Lo dico sul serio. Però voglio concedermi il diritto di dire quello che penso. È vero, ho appoggiato Kerry, sono apparsa vicino a lui, ma l’avrei fatto anche se non fossi stata nessuno. Perché voglio essere sicura del mondo in cui vivranno i miei figli. Questa è la mia unica preoccupazione».
Sarà invece a fianco di Jim Carrey a Natale in Lemony Snicket’s A Series of Unfortunate Events, commedia ispirata da un libro per bambini, che arriverà in Italia la prossima primavera: «È una parte attinente al mio ruolo di madre. E poi è divertente. Jim è assolutamente strepitoso».
La cassetta della posta si riempie di proposte e copioni. Il prossimo anno ha deciso di rimettersi in pista. La aspettano due nuovi film, uno a fianco di Sandra Bullock e l’altro col regista Chen Shi-Zheng. «Sono progetti interessanti, vorrà dire che mio marito si occuperà della casa per un po’». Il marito è lo stesso da 26 anni, lo scultore Don Gummer. Un’altra stranezza per una donna di Hollywood.
«Ed è anche la mia fonte di energia. Un uomo straordinario, con cui sono in grande armonia, specie sui temi importanti. Magari sulle piccole cose di casa non tanto, ma il rapporto rimane vivo anche per questo. In famiglia non sono mica Meryl l’attrice, sono una persona semplice, una mamma e una moglie. Non sono neppure tipo da rivedere i miei vecchi film. E non voglio neanche che li vedano i miei ragazzi». Perché, scusi? «Diventano di pessimo umore: di solito, al cinema, io muoio».
Da Vanity Fair, 18 novembre 2004
Meryl Streep. Mamma mia! Non è solo il titolo dell'ultimo film di Meryl, in circolazione nelle sale, ma una connessa esclamazione che dovrebbero lanciare le aspiranti attricette, vallette e veline. E anche certe giovanissime o le signore di mezza età ricostruite con maniacale pervicacia dai chirurghi estetici. Ormai trionfano le «belle d'annata». La Streep esulta: «A sessant'anni mi è esplosa la voglia di leggerezza!». E prova sconcertante ne è questo film dove canta, balta, ne fa di tutti i colori. Scatenata davvero, sull'onda delle canzoni degli Abba, quartetto vocale degli anni 70. Operazione «Nostalgia» che si rivela più dinamica del possesso del presente. Aggiungiamoci le vecchiette protagoniste di un altro film in giro, Pranzo di ferragosto. L'operina (per quanto è costata) di Gianni Di Gregorio è diventata uno slogan sociale, un talismano a parole per tanti italiani «da soma», nel senso che faticano inutilmente per farsi strada a dispetto dei luoghi comuni e degli stereotipi. Per indicare il miracolo ottenuto a dispetto dei santi, ormai si dice: «Co me nel film delle vecchiette!». Pellicola che ha trionfato a Venezia pur essendo a costo basso, con tre vegliarde per interpreti e un regista che ha dovuto sputare l'anima per realizzarlo. Donna è il nome della Streep nel film Mamma mia! Idealmente sottobraccio alte vecchiette, la donna cambia il mito dell'anagrafe. «Bisogna imparare a essere almeno sessantenni». Un proverbio spagnolo dichiara: «Si può avere sessant'anni sul certificato di nascita, trenta nella realtà, e venti a letto!». Mamma mia, che rivoluzione.
Da Corriere della Sera Magazine, 16 ottobre 2008
Meryl Streep ha vinto per due volte l’Academy Award e ha conquistato il numero record di quattordici candidature a questo premio.
Recentemente, ha recitato nel grande successo Mamma Mia, l’adattamento del fortunato musical di Broadway basato sulle canzoni degli ABBA. In seguito, la vedremo in Julie & Julia di Nora Ephron nei panni della celebre cuoca Julia Child, mentre presterà la sua voce alla pellicola di animazione di Wes Anderson Fantastic Mr. Fox, tratta da un romanzo di Roald Dahl.
La Streep ha esordito al cinema nel 1977 in Giulia (Julia), assieme a Jane Fonda e a Vanessa Redgrave. Nel suo secondo ruolo sul grande schermo, ha affiancato Robert De Niro e Christopher Walken ne Il cacciatore (The Deer Hunter), che le è valso la sua prima candidatura agli Oscar. L’anno seguente, ha vinto un Academy Award per il ruolo dell’ex moglie di Dustin Hoffman in Kramer contro Kramer (Kramer vs. Kramer). In seguito, ha ricevuto la sua terza nomination agli Academy Award per La donna del tenente francese (The French Lieutenant’s Woman) e ha vinto nuovamente l’Oscar come miglior attrice protagonista per la sua interpretazione ne La scelta di Sophie (Sophie’s Choice), dove ha lavorato con Peter MacNicol e Kevin Kline.
Tra gli altri lavori cinematografici nella prima fase della sua carriera, ricordiamo le prove (che hanno tutte ottenuto una candidatura all’Oscar ) in Silkwood di Mike Nichols; La mia Africa (Out of Africa) di Sydney Pollack; Ironweed, per la regia di Hector Babenco, e Un grido nella notte (A Cry in the Dark) di Fred Schepisi, che le è anche valso il premio come miglior attrice al Festival di Cannes, il riconoscimento del New York Film Critics Circle e un AFI Award. E’ anche apparsa in Innamorarsi (Falling in Love) con Robert De Niro, Affari di cuore (Heartburn) di Mike Nichols e Manhattan di Woody Allen.
Nel 2003, il suo lavoro in The Hours le ha fatto ottenere delle candidature ai SAG e ai Golden Globe. Lo stesso anno, la sua interpretazione ne Il ladro di orchidee (Adaptation) di Spike Jonze le è valsa un Golden Globe come miglior attrice non protagonista e una nomination ai BAFTA e agli Oscar . Tra le altre pellicole recenti della Streep, ricordiamo The Manchurian Candidate; Lemony Snicket - Una serie di sfortunati eventi (Lemony Snicket’s A Series of Unfortunate Events); Prime con Uma Thurman; Radio America (A Prairie Home Companion) di Robert Altman; Evening; e Il diavolo veste Prada (The Devil Wears Prada), che le ha fatto ottenere un Golden Globe come miglior attrice protagonista, così come delle candidature agli Academy Award , ai SAG e ai BAFTA.
A teatro, la Streep è apparsa nel 1976 nel doppio spettacolo di Broadway che comprendeva 7 Wagons Full of Cotton e A Memory of Two Mondays, ottenendo per quest’ultimo un Outer Critics Circle Award, il Theater World Award e una candidatura ai Tony. Sul palcoscenico, ha anche lavorato a Secret Service; Il giardino dei ciliegi (The Cherry Orchard); le produzioni del New York Shakespeare Festival di Enrico V (Henry V) e Misura per misura (Measure for Measure) assieme a Sam Waterston; il musical di Brecht e Weill Happy End; Alice at the Palace, che le è valso un premio Obie; le produzioni del Central Park de La bisbetica domata (The Taming of the Shrew) e Il gabbiano (The Seagull); e, più di recente, la versione di Tony Kushner di Madre coraggio (Mother Courage).
Sul piccolo schermo, la Streep ha vinto due Emmy per la miniserie in otto parti Olocausto (Holocaust) e per quella della HBO, diretta da Mike Nichols, Angels in America, che le ha anche fatto ottenere un Golden Globe e un premio SAG. La Streep ha anche ricevuto una candidatura agli Emmy per la sua interpretazione in First Do No Harm, di cui era anche coproduttrice con il regista Jim Abrahams.
Nel 2004, ha ottenuto il premio alla carriera dell’AFI e nel 2008 è stata celebrata dal Film Society of Lincoln Center.